N ei mesi scorsi, Giorgia Meloni ha deciso d’impersonare prudenza e stabilità sulle questioni di finanza pubblica. Nella campagna elettorale della scorsa estate ha messo la sordina alle promesse elettorali e, confezionando la legge di bilancio, è stata più attenta ai saldi di quanto non fosse stato il suo più blasonato predecessore. Con senso di responsabilità, ha eliminato espressioni come “debito buono” dal dibattito politico. A dispetto dei luoghi comuni sulla politica italiana, non ne ha avuto un danno in termini di consenso: anzi, Fratelli d’Italia si appresta a sbancare le elezioni regionali lombarde.

Negli anni scorsi, però, la destra italiana seguiva un canovaccio molto diverso. Lo stesso Fratelli d’Italia è un partito che nasce dall’insoddisfazione per la partecipazione del centrodestra al governo Monti, seguendo la Lega nella polemica anti-austerità. Questa scelta di fondo ha portato leghisti e post-missini a prendere posizioni assai nette su molti temi, evitando accuratamente di mettere a fuoco la questione della compatibilità finanziaria. Finché si resta all’opposizione, come Fdi, si può fare. In particolare, sui carburanti la destra italiana ha detto e ribadito, nel corso degli anni, qualcosa d’innegabilmente vero.

E c ioè che sono gravati da imposte in misura superiore a quanto avvenga in molti altri Paesi. Se però quelle imposte si vogliono togliere, andrebbe spiegato come: da dove si andranno a prendere altre risorse o, meglio, quali spese si desiderano eliminare. La destra “di lotta” questo non l’ha mai fatto, aderendo con entusiasmo al pensiero per cui ogni taglio alla spesa pubblica avesse effetti depressivi e pertanto fosse opportuno starne alla larga. Ora che è al governo la situazione appare diversa.

La batracomiomachia sulle accise si spiega semplicemente così. Meloni è impegnata a dare un profilo diverso al suo partito, ne rivendica la tradizione ma vuole innestarvi una cultura di governo. Negli stessi ranghi di FdI, qualcuno si trova fuori fase rispetto a questa operazione e continua a ripetere gli slogan del passato, ponendosi magari un problema di coerenza. Lega e Forza Italia cercano ogni occasione per provare a recuperare consenso, anche al costo di indebolire l’esecutivo di cui fanno parte (e rispetto al quale non hanno, loro stessi, alternative).

La premier si è giustamente difesa dicendo che una cosa è dire che i carburanti sono troppo tassati, da anni, in Italia, altra era confermare gli sconti eccezionali decisi dal governo Draghi, per i quali, appunto, sarebbe stato necessario trovare i fondi ovvero indebitarsi ulteriormente. La linea della responsabilità, però, non ha trovati altri interpreti nella maggioranza.

Così, il governo ha riesumato una vecchia misura che risale ai tempi di Romano Prodi e Pierluigi Bersani: l’accise mobile. L’idea è che, siccome gli aumenti Iva sulla benzina vanno di pari passo con l’andamento dei prezzi del greggio, lo Stato possa, quando questi ultimi raggiungono una certa soglia, rinunciare a una quota di quel che gli spetterebbe. L’intenzione può essere condivisibile ma all’atto pratico rischia di fare ben poca differenza. Il problema, oggi, riguarda infatti soprattutto i prezzi del diesel, che non seguono più quelli della benzina. Come ha spiegato Carlo Stagnaro sul Foglio, vi è infatti un disallineamento fra domanda e offerta in Europa che non riguarda le misure fiscali dei singoli Paesi.

A livello di comunicazione, le forze di maggioranza si sono affidate all’usato sicuro: una campagna contro la “speculazione”. Additando i benzinai stessi come dei profittatori, tesi a trarre il massimo vantaggio da qualche magheggio in contemporanea allo “scongelamento” dell’accisa, per non dire delle terribili multinazionali del petrolio. La vigilanza contro gli aumenti sarà affidata al “solito” Mister Prezzi: una figura che dovrebbe distinguere il grano dal loglio nei rincari, quelli dovuti alla dinamica di mercato da quelli frutto di qualche “furbata”.

Dietro tutto questo c’è un po’ l’atavica abitudine del facite ammuina, spostiamoci tutti da poppa a prua e da prua a poppa per dare l’impressione di essere sul pezzo. Ma ci sono anche fraintendimenti studiati ad arte nel corso di anni di propaganda, che rischiano d’inquinare l’azione dell'esecutivo al di là delle buone intenzioni della premier .

La destra di governo non necessariamente deve assomigliare alla sinistra, o ai governi tecnocratici precedenti. Anzi. Gli elettori hanno votato per cambiare e a quest’ansia di cambiamento va data risposta. Il cambiamento più rivoluzionario, in Italia, è la responsabilità verso i conti pubblici e le generazioni future (sulle cui spalle

Direttore dell’Istituto

“Bruno Leoni”

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