L ’economia di guerra è il contrario dell’economia di mercato. In un’economia di mercato, i fattori produttivi sono al servizio delle necessità dei consumatori, che sono le più diverse e spesso cambiano. In guerra una società ha uno scopo e basta: uscirne vittoriosa. Per questo non c’è da discutere se l’acciaio vada utilizzato per costruire veicoli militari o automobili civili, e neppure se un ingegnere può affrontare la propria vita professionale come gli aggrada o se invece deve mettere le sue capacità a disposizione del Paese.

Agli infiniti obiettivi che hanno diritto di cittadinanza in un’economia di mercato, se ne sostituisce uno solo. Per quanto ci possiamo sentire partecipi delle vicende ucraine, noi oggi non siamo in guerra e per fortuna i nostri giovani non rischiano di essere sottratti agli studi per andare al fronte. Ma di quanto sta avvenendo fra Russia e Ucraina pagheremo comunque il conto. La guerra isola dal resto del mondo un Paese, l’Ucraina. Le sanzioni comminate alla Russia servono a isolare dal mondo anche quel Paese. I commenti si concentrano sulla nostra “dipendenza” energetica dal suo gas. Il gas però non viene comprato dalle nazioni bensì da imprese le quali agiscono sulla base della convenienza economica. Il nostro essere “dipendenti” dal gas russo sta a significare che non se ne trova di meno costoso proveniente da altri luoghi, a causa anche di regolamentazioni che hanno reso difficilissimo estrarne nei Paesi europei.

Altre materie prime provenienti da Ucraina e Russia stanno diventando più scarse, e dunque rincarano. Intanto, le sanzioni recidono legami economici che apparivano solidi, chiudendo il mercato russo a molte nostre imprese, ma colpiscono pure prodotti finanziari che erano regolarmente scambiati in Occidente. Il contraccolpo si farà sentire sui risparmi di molti.

Le economie di guerra tengono duro e stringono la cinghia perché si sentono fra la vita e la morte. Siamo sicuri che succederà anche da noi? L’ondata di supporto alla causa ucraina è stata vasta e sincera. Reggerà a un rapido peggioramento della situazione economica?

Si sente parlare di una sorta di Recovery 2.0, per fare fronte al nuovo scenario. Noi abbiamo ampiamente beneficiato del Recovery Fund perché eravamo il Paese più colpito da Covid 19. Anche ammettendo un nuovo sforzo da parte dei Paesi UE, è difficile immaginare che gli italiani saranno di nuovo privilegiati: ci sarà da ricostruire l’Ucraina, quando tutto sarà finito, e in prima linea nell’accoglienza dei profughi ci sono i Paesi dell’Est.

Si parla di bloccare il prezzo del gas. I calmieri però impediscono di capire, grazie alle oscillazioni di prezzo, “dove” mettere risorse e quali investimenti effettuare. Noi oggi abbiamo bisogno di remunerare gli investimenti in infrastrutture energetiche, se vogliamo “dipendere meno” dalla Russia. Anche lasciando perdere l’andamento delle materie prime, non basta bloccare il prezzo del gas. Che facciamo con l’aumento dei costi di trasporto, dovuto alla crescita del prezzo del petrolio, che ha ovvie ripercussioni a catena su tutte le merci? L’impressione è che il filo ci sia scappato di mano.

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