S enza scomodare Karl Marx è facile comprendere che l’esercito di riserva si sta assottigliando e che le dinamiche del mercato del lavoro stanno cambiando. Da più parti le imprese si lamentano del fatto che non trovano personale per la stagione estiva oppure lavoratori specializzati (colpa dell’abbandono scolastico che in Sardegna resta su livelli record), così come gli enti pubblici parlano di poche persone interessate ai concorsi. Questa la denuncia del sindaco di Cagliari Paolo Truzzu. Da qui il dibattito e le polemiche, mentre in molti replicano sui concorsi: forse non ne vale la pena.

P er spiegare questi fenomeni bisogna cercare di indagare i cambiamenti del mercato del lavoro e le dinamiche demografiche degli ultimi anni. Secondo i dati dell’Istat di marzo, l’occupazione è tornata a livello pre pandemia ma si registra un record di contratti a tempo determinato. Ci siamo abituati alla precarietà? Forse no, ma di sicuro il mercato è diventato più dinamico. Con l’addio di molti lavoratori, anche grazie alle ultime misure pensionistiche (quota cento), tante persone hanno lasciato la propria occupazione, ma va detto che i demografi lanciano l’allarme sul fatto che la popolazione invecchia. Quindi a fronte di un maggior numero di pensionati, ha rilevato anche di recente il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, il numero di persone in età lavorativa scende. Tradotto: c’è meno concorrenza tra chi cerca un’occupazione.

C’è poi la questione del reddito di cittadinanza che avrebbe tolto dal mercato persone che si accontentano di prendere il sussidio statale. Gli strali del Movimento 5 Stelle su queste spiegazioni fanno il paio con chi punta il dito solo contro le imprese: basta evitare lo schiavismo, pagare bene e i dipendenti si trovano. Il qualunquismo non aiuta. La verità forse sta nel mezzo: il reddito di cittadinanza può aver agito su quello che Marx definiva appunto l’esercito di riserva, che aiutava gli imprenditori spregiudicati ad abbassare i salari, forti del fatto che se qualcuno andava via se ne trovava subito un altro disponibile. Sul mercato sono rimasti solo professionisti con una certa esperienza, e quindi che reclamano una retribuzione adeguata e una discreta soddisfazione personale. E qui entra in gioco un’altra teoria, quella dell’equità, pronunciata nel 1963 da John Stacey Adams, uno psicologo del lavoro. Secondo questo studioso americano, un individuo è tanto più motivato a lavorare quanto più è alta l’equità percepita dal rapporto tra contributo prestato e premio ricevuto. Quindi si è più produttivi se la retribuzione è adeguata e la gratificazione personale è maggiore. Allora, siamo sicuri che oggi, dopo la pandemia, dopo i sacrifici fatti negli ultimi anni, siamo ancora disposti a lavorare senza una giusta motivazione, soltanto con il miraggio del posto fisso? Uno studio del Politecnico di Milano, dice che oggi il 46% dei lavoratori ricerca migliori condizioni di lavoro, a partire da retribuzione e benefit. E un altro 24% dice di voler cambiare occupazione alla ricerca di un maggiore benessere psico-fisico.

Alla luce di queste analisi, vanno valutati altri elementi, e non solo lo stipendio o il miraggio di un posto fisso, per comprendere le scelte di un lavoratore. La pandemia evidentemente ha fatto riflettere e il mondo del lavoro ha ripreso a camminare con dinamiche nuove.

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