M a come? Le quote blu. E perché non celesti visto che il genere femminile da tutte le parti viene definito rosa, e non c’è niente di più insopportabile? Dove sono finiti tutti discorsi sulle riserve indiane?, la tutela del panda, etc etc? Sarà mai che valgono solo per le donne? Gli uomini invece… Gli uomini invece quando si sentono minacciati vanno dritti all’obiettivo. Nella scuola c’è il rischio che al concorso per dirigenti partecipino troppe donne? E allora facciamo valere il principio del riequilibrio dei generi nelle pubbliche amministrazioni.

N ei posti di comando, sia chiaro. Perché le maestre sono oltre il 90% del corpo docente e le professoresse pure. I presidi, quando si dice il caso, no: fino a poco tempo fa due su tre erano uomini. Ecco. Siccome nell’immediato futuro c’è il rischio che quello spazio di potere venga intaccato, arriva il rimedio: le quote, tanto criticate quando sono le donne a rivendicarle. Certo, qui è a parità di punteggio, nessuno scavalca nessuna, e poi ci sono le percentuali: d’accordo. Non è tanto questo, quanto la reazione. Della serie: visto? ci state togliendo i posti, siamo noi in minoranza.

Non è così, e lo sappiamo tutti. Semmai dovremmo chiederci perché le donne a scuola siano la stragrande maggioranza, e non da oggi: sarà mica una questione di stipendi diciamo poco adeguati? C’è più di un sospetto. E comunque, c’è scarsa attenzione anche in questo momento storico fatto di femminicidi, violenze domestiche, stupri di ragazzine, l’ultima, una studentessa francese, si è impiccata a Lecce: non sopportava il senso di colpa. Sì, siamo al punto che si sente in colpa la vittima, troppe volte definita presunta, che suona sedicente, cioè, cara ragazza, devi provarlo tu che sei stata violentata, loro neanche li chiamiamo più imputati, sono i giovani, i ragazzi. Le parole, si sa, sono importanti, e possono uccidere.

Intanto si continua a trattare le donne come oggetti da vetrina, basti guardare il tristissimo abito inventato da un’azienda per festeggiare una qualche ricorrenza, con la ragazza che fungeva da tavolino, vivente e semovente, per gli allegri appassionati di aperitivo. Mentre un consigliere regionale veneto si è spinto verso l’inaudito: in un dibattito sulle migrazioni ha ritenuto di fare valutazioni del tipo “i ragazzotti neri forse alle donne piacciono perché hanno magari una dote lì sotto”. Il conduttore si è dissociato, gli altri zitti. Poi il consigliere è stato espulso dal suo partito, la Lega, e meno male. Ma non finisce qui, le parole sono il sintomo di una cultura diffusa, altrimenti il direttore sportivo della Juventus per fare un paragone con l’acquisto sbagliato di un calciatore non avrebbe detto, testuale: “quando prendi un calciatore è come una fidanzata; pensi sia quella giusta, la porti a cena, ma poi capisci strada facendo, quando te la metti in casa, che non va bene, non fa da mangiare, non lava, non stira”. A parte le faccende domestiche, che da sole gli varrebbero la squalifica a vita, sono significativi i verbi: prendi, porti, metti. Non una donna, una cosa. Altro che quote. Bisogna davvero ricominciare daccapo se perfino il compagno della donna più importante d’Italia si permette frasi sessiste sul posto di lavoro. Non è guardare dal buco della serratura, no: è rendersi conto che quelle battute sono di molti, di troppi, e molte e troppe le mal sopportano per i motivi più diversi. Uno su tutti: la paura di essere prese in giro, “che sarà mai, che avrà mai detto”, e subito si sposta l’attenzione sulla donna, non è spiritosa, non accetta lo scherzo, il cameratismo, la colleganza, il gioco. Vale per le pa role come per i gesti, la pacca sul sedere, ad esempio: “ma dai, si è sempre fatto, quando nessuno vi guarderà più ne riparleremo”.

Nel frattempo, avanti con le quote blu, quelle sì che sono chiare: “non cediamo di un solo passo”. Chi aveva detto che il tetto di cristallo era rotto?

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