D ovrebbe essere ormai chiaro che utilizzare nei confronti della Cina le semplificazioni e le generalizzazioni cui ci stiamo abituando è un esercizio privo di sostanza. E anche a questo proposito mi chiedo perché l’Europa, con la sua storia e la sua cultura, abbia invece abdicato a un ruolo se non altro di approfondimento e di comprensione. Mi ricordo negli anni ’70 la sorpresa nello scoprire all’università di Yale gruppi di studio dedicati alla situazione italiana di apertura storica alla sinistra, e nel poter seguire conferenze ad hoc: qualcuno si occupava di noi!

S cegliere, insomma, di non essere un cuscinetto pensante e intelligente, per ritagliarsi invece una posizione defilata e totalmente succedanea a quella americana. L’Occidente e l’Atlantismo sono concetti che hanno fatto la nostra storia recente e ci hanno fatto crescere, non dobbiamo dimenticarlo, mentre discutibili sono anni di investimenti culturali contro i valori cristiani, culminati appunto nella costituzione di un’UE che s’inorgoglisce a rifiutare le proprie radici storico-religiose; la deindustrializzazione del continente a favore invece di un’esplosione finanziaria, peraltro non originata internamente; la cinica gestione del fenomeno dell’immigrazione, il cui peso viene lasciato a Paesi marginali di frontiera (noi in primis), mentre il valore aggiunto, ben filtrato, viene ad arricchire l’economia di altri Stati; l’importazione della cancel & woke culture dalle città americane a propensione “dem”; la transizione ecologica non supportata né da una reale necessità (l’UE contribuisce appena al 9% delle emissioni mondiali), né da un serio piano scientifico di sostituzione; la totale sottomissione alla Nato anche per quanto riguarda la corsa agli armamenti.

Sulla Cina c’è innanzitutto da chiedersi qual è la politica europea, se quella rigida e arrogante della Von der Leyen che con Lagarde detiene l’assoluta verità e a questa vuol piegare Xi Jinping, o quella pragmatica di Macron che non può fare a meno degli interscambi commerciali, oppure ancora quella ballerina di Scholz che non ha ancora interiorizzato la perdita della Merkel e si muove sulla scacchiera come un pendolo.

L’Italia, dopo due anni d’attesa e di consequenziale confusione geopolitica, finalmente saprà dal nuovo ambasciatore americano a Roma, Jack Markell, come comportarsi con la Cina, non preoccupiamoci. Mentre intanto Xi Jinping ribadisce che vede e vuole un mondo multipolare (quante volte l’ha detto?) e questo implica una politica planetaria cinese tesa a scardinare il monopolio degli Usa sulla moneta, sulle organizzazioni governative, sugli scambi strategici, sulla tecnologia e persino la cultura. Basandosi sulle “trascendenze”, le visioni di lungo periodo che improntano la politica cinese, Xi Jinping non vuole la guerra ma un insieme convergente e montante di passi che conducano fatalmente a disarticolare quello che è senza dubbio un impero.

D’altronde, mentre gli Stati Uniti potenziavano le oltre 800 basi militari che circondano la terra, la Cina conquistava l’Africa con investimenti e politiche, si allargava nel Medio Oriente, riusciva a far passare il suo messaggio, “la materie prime sono più importanti della carta di cui è fatto il dollaro”, a Stati sino a ieri impensabili come l’India e il Brasile.

Bollywood, Shanghai e Seul e una miriade di produzioni definite “etniche” sono emerse come innovative e seppure le carte (gli Oscar) vengano date ancora a Hollywood, il mito americano si è frammentato, è innegabile, piegato peraltro dagli sfasci bellici di Saigon, Bagdad e Kabul. Detto questo, la domanda: Xi Jinping vuole davvero la pace in Ucra ina, è un mediatore affidabile? non si pone. L’obiettivo di una guerra per procura è da ambo le parti trascendente. Se la guerra oppure la pace servirà a mettere un cuneo nel monopolio imperiale, da quella parte si schiererà pragmaticamente la Cina. E non parliamo di aggressività e minacce, quanto piuttosto di appartenenza, di schieramenti, è più onesto.

Ma noi vogliamo ancora un monopolio Usa oppure un mondo multipolare? E infine, decidiamoci: che ruolo vogliamo svolgere nella prossima storia che si va apparecchiando e che i nostri nipoti subiranno? Cerchiamo la risposta in noi, prego, non in Netflix.

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