M aria non lavora. Il suo partner le passa il denaro per le spese di ogni giorno, quanto basta per sbarcare il lunario. Vorrebbe lavorare, ma il suo uomo non approva questa scelta. “Non è necessario”, lui sostiene. Lidia, invece, ha un lavoro. Come spendere i (suoi) soldi, non è una sua prerogativa, ma del marito. D’altronde è lui che sa come si deve usare il denaro, non certo Lidia. Lei si occupa degli acquisti quotidiani con la paghetta, tiene sempre gli scontrini, da mostrare al coniuge “esperto di finanza”. La storia di Federica è diversa. Il suo compagno è un noto imprenditore, che un giorno le ha detto “ti ho nominato amministratrice in alcune mie società; niente di importante, si tratta di mettere qualche firmetta ogni tanto su qualche scartoffia”.

Il filo che lega le storie di Maria, Lidia e Federica è rosso, colorato dalla violenza economica. Sono storie di donne asservite economicamente ai loro compagni che vogliono limitarle, privarle dell’accesso alle disponibilità economiche, siano esse proprie o della famiglia. Sono atti di sopraffazione di un individuo su un altro (più debole). Non necessariamente la vittima è una donna, esistono anche casi diversi. Ma la violenza economica sulle donne è forse la forma più subdola e insidiosa della più generale violenza maschile nei confronti del sesso femminile. Nel mese di novembre ricorre la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999 per sensibilizzare le popolazioni a lottare contro tali violazioni dei diritti umani.

F a specie questa ricorrenza, perché la violenza sulle donne non dovrebbe esistere. Ma la violenza è umana, e quella sulle donne è fatto frequente, preoccupante, che si manifesta in tanti modi.

L’ultima indagine della D.i.Re (Donne in Rete), che associa numerosi centri anti violenza e case rifugio del territorio italiano, riporta che la forma prevalente di violenza è quella di natura psicologica: oltre l’80% delle donne che si rivolte ai centri. Seguono gli atti di violenza fisica che hanno coinvolto il 60% delle denuncianti. Un terzo delle donne ha subito comportamenti di violenza economica. Le diverse forme di violenza poi si combinano tra loro: a volte si inizia con la psicologica, poi economica per giungere a quella fisica.

Sono statistiche significative, molto probabilmente sottostimate, perché spesso le vittime non denunciano. Può capitare, ad esempio, che non si voglia denunciare, per vergogna, timore o anche per rassegnazione. La violenza economica non è sempre considerata come un atto di sopraffazione, ma come “cosa normale” che può accadere in famiglia, dove il tesoriere è l’uomo di casa (non la donna).

E stando così le cose, il contrasto alla violenza economica è complesso e richiede pluralità di interventi.

Tutela giuridica, anzitutto. Riconoscere, tutelare pienamente la donna che subisce la violenza economica e perseguirne coloro che la attuano è ovviamente fondamentale per il contrasto del fenomeno. Al di là della Convezione di Istanbul, che ha rappresentato la prima presa d’atto internazionale sull’argomento, un passo importante è stato fatto recentemente dalla Corte di Cassazione che ha equiparato la violenza economica a quella fisica.

E’ necessario però cercare i modi per aiutare le donne a riconoscere i comportamenti violenti (qualunque essi siano) e al denunciarli. Percorsi di educazione finanziaria, mirati e ben costruiti possono aiutare allo scopo. Indagini recenti ci dicono che le donne soffrono di un divario di genere sulle nozioni finanziarie.

Una cultura finanziaria più robusta può essere un valido strumento per prevenire e combattere gli abusi economici. Donne più consapevoli della finanza e della gestione del denaro possono essere più in grado di riconoscere e combattere i possibili atti di violenza economica. La consapevolezza femminile su queste tematiche va accresciuta, dimostrando loro che sono in grado di conquistare l’autonomia finanziaria. E’ inoltre fondamentale prevedere azioni di policy che si occupino dell’inserimento nel mercato del lavoro di donne vittime di violenza. Così come è necessario lavorare ancora per ridurre le disparità di genere sul mercato del lavoro.

La strada è ancora lunga, ma “c’è ancora un domani”, direbbe la Cortellesi.

Università di Cagliari

© Riproduzione riservata