N ei giorni scorsi ho avuto una interessante conversazione con Marcello Acciaro, DG della ASL di Olbia, circa le prospettive del Servizio Sanitario in Sardegna. Ci sono problemi che sono irrisolvibili in tempi brevi (mi riferisco soprattutto alla scarsità di personale sanitario sul mercato del lavoro) e bisogna farsene una ragione: per i prossimi cinque, sette anni dovremo arrangiarci come potremo, medici e infermieri ce ne saranno sempre in numero inferiore alle necessità. Si tratterà quindi di scegliere come distribuirli tra le varie esigenze.

M a sempre tenendo conto che, o da una parte o dall’altra, ci saranno carenze anche gravi. Invece il ragionamento che abbiamo fatto riguarda le prospettive a medio lungo termine, e intendo riferirmi alla sostenibilità sociale ed economica del servizio da qui a venti trent’anni. Bisogna partire da una previsione delle esigenze di salute della popolazione, considerando che il 35% non si rivolge mai ai servizi sanitari, il 30 lo fa solo per le emergenze o quasi, un 15 % si rivolge al mercato privato per cui restiamo con un 20% di cui dobbiamo occuparci seriamente. Il punto è che questo 20 % è costituito prevalentemente da anziani che tendono a spendere la gran parte del loro consumo di risorse sanitarie negli ultimi anni di vita. Risorse sanitarie che grazie al continuo progresso tecnologico e scientifico aumentano di costo ben oltre un accettabile tasso di inflazione.

Ci troviamo di fronte ad una miscela esplosiva tra l’aumento dei costi da un lato e dall’altro l’incremento della richiesta dovuto al prorompente invecchiamento della popolazione e, si sa, i vecchi richiedono cure molto più dei giovani. Insomma, se non facciamo niente, tra poco oltre alle carenze di personale che sono già per conto loro un ostacolo enorme, ci troveremo di fronte alla richiesta di un numero crescente di prestazioni soprattutto ospedaliere per le quali non avremo le risorse economiche sufficienti. Che fare, come direbbe Lenin? Bene, ci sono anche buone notizie che provengono da diversi territori della Sardegna dove si sta lavorando con impegno per prepararsi al domani tentando, con fatica e tra mille resistenze, di dare inizio al futuro. La risposta è da ricercarsi in un atteggiamento proattivo, cioè mantenendo sotto controllo nel tempo le patologie croniche e impedendo che peggiorino oltre a quel tanto di inevitabile legato al passare del tempo. Questo approccio è chiamato in vari modi ma forse il termine che lo descrive meglio è “medicina d’iniziativa” e coinvolge una serie di procedure che portano infine all’adozione di un progetto di salute individuale per ciascun soggetto. Detto in parole terra terra si tratta di “prendersi cura” (e non più di curare) di un paziente, di individuarne i possibili rischi di natura sanitaria, di monitorare i diversi fattori clinici e prevenire fatti acuti che richiedano trattamenti ospedalieri, il tutto cucito su ogni specifico paziente.

Questo complesso di attività richiede a monte una serie di cambiamenti si di strutture ma soprattutto di filosofia dell’offerta da parte del servizio sanitario. E mentre sulle prime si sta già lavorando, sono in corso numerosi progetti di realizzazione di nuove strutture territoriali, sulle seconda mi pare che siamo indietro. Cioè, mentre la parte tecnica è già proiettata nel futuro e sta costruendo oggi l’infrastruttura sanitaria del domani, la parte politica, cioè quella che deve programmare, arranca tra mille ritardi. Oltre un anno fa l’allora assessore Nieddu aveva presentato un piano sanitario territoriale che, pur non essendo ancora all’altezza delle necessità , era tu ttavia una buona base di discussione per il Consiglio Regionale. Sarebbe interessante sapere che fine ha fatto perché non vorrei, e non lo vorrebbero i sardi, che tra cinque o dieci anni ci trovassimo con una splendida rete di strutture territoriali che nessuno sa come e quando utilizzare.

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