I l diritto all’aborto potrebbe essere messo in discussione da un disegno di legge presentato dal senatore Maurizio Gasparri che propone di modificare l’articolo 1 del Codice Civile, attribuendo al feto l’acquisizione della capacità giuridica fin dal momento del concepimento. Tutto questo accade mentre in Marocco, ogni giorno, vengono compiuti 700 aborti clandestini con pericolosi metodi artigianali.

A raccontarcelo è un recente reportage pubblicato dal quotidiano francese “Le Monde” in cui la giornalista Ghalia Kadiri rivela con cruda schiettezza l’abisso di atrocità cui vengono esposte, nel suo Paese, le donne che decidono di interrompere volontariamente una gravidanza. Kadiri ci porta in un luogo del mondo, geograficamente nemmeno tanto distante, in cui la sessualità è ancora un tabù tenace e in cui le relazioni sessuali al di fuori del matrimonio sono proibite e punibili con l’arresto. Non solo: in Marocco, una donna che prende la pillola viene considerata alla stregua di una meretrice. Figuriamoci l’aborto! Un crimine grave per il quale sono previste pene severissime: due anni di carcere per le madri e cinque per chi lo rende possibile. Anche se il nascituro è frutto di un incesto: perché in Marocco il feto va tutelato anche in caso di abominio e le gravidanze si possono interrompere legalmente solo se a rischio c’è la vita della madre.

E così, un giorno, in una discarica, per caso, viene ritrovato il corpo di una quindicenne che, dopo aver subito una violenza sessuale da parte di un uomo molto più grande di lei, era ricorsa all’interruzione volontaria di gravidanza con metodi rudimentali, capaci di causarle una setticemia letale. È vero, nelle grandi città del Marocco, i più benestanti possono ricorrere a costose cliniche private che, in gran segreto, offrono la possibilità di interrompere volontariamente la gravidanza a costi esorbitanti. Alle donne più indigenti, invece, non resta che rischiare emorragie e infezioni, rivolgendosi a quelle mammane che, nei paesi di lingua francofona, vengono poeticamente chiamate “fabbricanti di angeli” e che fanno tutto senza anestesia e con norme igieniche medievali servendosi, fra l’altro, di tossiche tisane abortive e di ovuli ripieni di prodotti chimici da inserire all’interno della vagina. Gli ospedali sono sommersi dalle derivanti complicazioni che spaziano dal tetano alla setticemia.

Ecco: dovremmo domandarci se sono i Paesi come il Marocco quelli da cui prendere esempio per le nostre politiche etiche e morali. O, se, invece, come tenacemente sostiene il premio Nobel per la letteratura Annie Ernaux, dovremmo batterci perché il diritto all’aborto possa essere garantito da tutte le Costituzioni europee. Un segno di civiltà, insomma. E non di inciviltà.

Ed è proprio Annie Ernaux nel suo romanzo “L’evento”, a testimoniare con disarmante schiettezza di quando, nel 1963, si trovò, da sola, ad affrontare il calvario – e il reato - dell’aborto clandestino. “L’evento” è un libro di grande potenza emotiva che tutti dovrebbero leggere prima di formarsi un’opinione riguardo le interruzioni volontarie di gravidanza.

Scrittore

© Riproduzione riservata