P iazza San Pietro è quasi nascosta dietro una coltre di foschia quando il feretro di Benedetto, semplice e solenne, viene poggiato ai piedi dell’altare, coperto solo dal libro del Vangelo, aperto. Non c’è il vento impetuoso, che quasi si divertì a sfogliare quelle pagine, alle esequie del predecessore Giovanni Paolo II allora presiedute - una sorta di legge del contrappasso - da chi oggi è destinato a occupare proprio il suo sepolcro.

T utto si ferma a Roma per il mite e gentile Benedetto. Impressiona quella enorme chiazza rossa formata dai concelebranti a questo imponente, ma austero, rito funebre. C’è tutto il Collegio cardinalizio, e poi vescovi da tutto il mondo, migliaia di sacerdoti, saranno 3.700: tutti indossano casula e stola rossa, perché rosso - da millenario cerimoniale - è il colore dei regnanti. Anche se, come nel caso dei papi, il loro regno “non è di questo mondo”.Ma rosso è anche il colore dei martiri, cioè dei “testimoni” che con il loro sangue hanno consacrato e congiunto, in un vincolo sponsale, la loro vita al Cristo, “Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo”.

Viene proclamato, in italiano, il Vangelo. È quello della morte in croce del Cristo, Figlio di Dio, vittima innocente, crocifisso in mezzo a due malfattori. Proprio sul Golgota, ancora una volta nel segno del Buon Pastore, tutto si ribalta: i farisei, i “galantuomini di Israele”, diventano omicidi; un omicida conquista il Regno dei cieli.È la paradossale, umanamente incomprensibile, giustizia evangelica. Proprio rifacendosi all’immagine, molto cara a Benedetto XVI, del Pastore bello e buono, venuto nel mondo “non per giudicare ma per salvare”, nella sua omelia Papa Francesco dirà: «Pascere vuol dire amare, e amare vuol dire anche essere pronti a soffrire. Amare significa: dare alle pecore il vero bene, il nutrimento della verità di Dio, della parola di Dio, il nutrimento della sua presenza». Il pensiero di tutti è andato a quell’11 febbraio del 2013 quando, primo Pontefice dopo Gregorio XII (correva l’anno 1415), davanti ai Cardinali, ammutoliti ed esterrefatti, Benedetto diede l’annuncio della sua decisione, «ingravescente aetate», per l’avanzare dell’età e il venir meno delle forze fisiche, di rinunciare alla guida della Chiesa cattolica. Un gesto sconvolgente che sigillò il suo “martirio”, scegliere cioè una sepoltura anticipata, farsi “chicco di grano che, messo sotto terra, marcisce per dare frutto”.

Le oltre 200mila persone, arrivate da tutto il mondo che, in una fila compatta e silenziosa, per tre giorni hanno sostato davanti al suo feretro nella basilica di San Pietro, sono state soprattutto un cattolico, universale “grazie” al Papa teologo e catechista, traduttore e interprete della fede dei semplici, chiaro e comprensibile anche quando trattava alti e spinosi argomenti.

Assieme alla nebbia di piazza San Pietro non si sono dissolte, però, le parole, inopportune e intempestive, del segretario di Ratzinger padre George sui suoi rapporti con Papa Francesco, destinate ad alimentare altre sterili e inutili polemiche. Proprio quando, alto, dalla folla che accompagnava il Papa emerito alla sua sepoltura, si levava alto il grido “Santo subito”. Che peccato!

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