N ulla di più difficile che scrivere di Silvio Berlusconi per almeno tre motivi. Il primo: sappiamo già tutto di lui. Si deve solo scegliere - compito arduo - cosa selezionare, e cosa no, dell’incredibile galleria di immagini, aneddoti goliardici o drammatici che ci lascia. Il secondo è conseguenza del primo: non è morto un uomo solo, ieri, ma almeno un gatto con sette vite, centinaia di maschere a cui “il Cavaliere”, che prima fu “dottore”, ha dato corpo in settant’anni di vita mediatica. Terzo motivo: non c’é, in Italia, personaggio pubblico più radicalmente divisivo di lui, amato e odiato senza rimedio. Ciò che per metà degli italiani è angelico e sublime, in lui, per l’altra metà è demoniaco è intollerabile. Non avendolo mai votato, ma avendo lavorato a Matrix per tre lunghi anni, posso dire che lui stesso si divertiva a cambiare identità come panni di scena. Una volta mi invitó a Palazzo Grazioli e mi disse convinto: “Guardi che io sono di sinistra, più di tutti. Io sono e resto socialista!”. Siccome avevo davanti un ex presidente del Consiglio, che era anche (allora) il leader del centrodestra, la mia reazione gli sembrò poco convinta. Era vero. Così aggiunse: “Io sono un progressista, che crede nella modernità, che è meno conservatore di metà dei leader dell’Ulivo. Non parliamo dei comunisti!”.

A vevo obiettato divertito: “Quindi il leader del centrodestra in realtà è di sinistra?”. E qui Berlusconi, assumendo un tono teatrale e corrucciato aveva sospirato: “Io sono per la libertà. Vuole paragonare la mia laicità a quella di Prodi? La verità è che sarei il leader perfetto per una sinistra riformista e socialista, in Italia. Solo che lo spazio libero era a destra. Così sono venuto qui!”. Rimasi di stucco, ma ora ripenso a quelle parole. Ci riparlai dopo l’elezione di Sergio Mattarella. Era furibondo perché era saltato il “suo” candidato, Giuliano Amato: “Renzi ha bruciato l’unica occasione di eleggere un presidente riformista al Quirinale! Ha avuto paura di votare Amato!”. Non era una arrabbiatura passeggera, e il Nazareno finì li. La porta verso Renzi, che pure stimava, si chiuse per sempre, perché quello che Giuseppe Fiori aveva ribattezzato “Il Venditore” - non poteva accettare che qualcuno tradisse una parola data (a lui, ovviamente).

Un giorno, intervistando il premier albanese, Edi Rama, mi colpì che anche a lui Berlusconi aveva detto (di fronte al suo alleato conservatore Sali Berisha, per giunta) “Io sono socialista, come te”. Questo moto di continua vocazione alla seduzione dell’altro, per Berlusconi, non era captatio benevolentiae, ma la sua cifra: “Sono concavo e convesso”, amava ripetere. Ebbene, di Berlusconi - pirandellianamente - ce n’erano uno nessuno e centomila: “presidente operaio”, statista, amico di Putin, ma anche “Chi non mi vota è uno str..,” e “Ho messo fine alla guerra fredda, a Pratica di mare”. Era il “dottore” degli anni settanta che costruiva quartieri 2.0, girava con i basettoni, dormiva con la pistola sul comodino e lo stalliere Mangano ad Arcore. Ma anche l’ex Chansonnier, che da ragazzo cantava sulle navi, accompagnato al piano dal fido fedele (Confalonieri). C’era poi l’ex bambino che raccontava di aver attaccato (a 12 anni!) i manifesti della Dc. C’era il figlio devoto di “mamma Rosa”, ma anche “Papi”. C’era il marito modello di “Una famiglia italiana”, l’indimenticabile rivista patinata che gli italiani ricevettero nel 2001, dove “I Berlusconi” venivano raccontati oleograficamente come se fossero i Windsor italiani. Poco importa che le famiglie ufficiali fossero tre, a cui si aggiunsero una compagna di transito (poi attivista LGBT+, Francesca Pascale) e una moglie finta, sposata con una cerimonia che pareva vera (Marta Fascina).

Era tutto e il contrario di tutto. Ha portato in Italia l’edilizia di nuova generazione, la tv commerciale, piegato le leggi (decreti Craxi, legge Mammì), cambiato il costume politico, traversato mille processi, sfidato la magistratura a Milano, è riuscito - per pochi giorni - a diventare il presidente più amato dagli italiani (al 70% quando esaltò la Resistenza ad Onna), proprio lui che non aveva mai celebrato il 25 aprile. Berlusconi ha sfondato ogni barriera di genere, ad esempio quando irrideva l’avversario Romano Prodi, così: “Vinca anche lui cinque coppe dei campioni, e poi può parlarmi!”. Sdoganó per primo i post fascisti del Msi: “Erano zuc che li ho trasformato in principi!”. Nel 1993 disse a La Stampa: “Qualche volta sì, mi piacerebbe davvero farmi da parte, costringere gli altri a cavarsela da soli. Ricordate Ungaretti? ‘Lasciatemi così, come una cosa posata in un angolo e dimenticata’”. Pausa, ghigno caimano: “Per due o tre giorni. Non di più”.

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