P er i nostri nonni il Natale era paschixedda, piccola pasqua, per distinguerla da Pasca manna, trionfo del Risorto, culmine della Settimana santa di morte, passione e, appunto, resurrezione.

Che Natale sarà per Angelino Becciu? Dovrà accontentarsi, il cardinale di Pattada, di una paschixedda o, dopo tre anni di calvario e di gogna, potrà festeggiare la sua Pasca manna di rinascita piena, di riscatto dai veleni di morte, di rinnovata navigazione sulla barca di Pietro, attraversata e archiviata la burrasca?

L e parole del Collegio di difesa al dibattimento (?) che si va a concludere in Vaticano, nella stridente magnificenza dei Musei, parrebbero più adatte a un romanzo di Kafka che all’aula di un tribunale. Perché irreale, surreale, paradossale, persino psicotico è il quadro dipinto dagli avvocati difensori di Becciu che, nel chiedere l’«assoluzione piena» per il loro assistito, hanno parlato di «testimonianze inquinate, accuse assurde e infondate, indagini mosse da occhio pregiudizievole, impianto accusatorio debole e puntualmente sconfessato dal dibattimento». Un processo «dove il figlio è nato prima del padre», con la sola, generale, pervicace, ossessiva volontà di «mostrificarlo».

L’arringa di difesa di Becciu ha smontato, pezzo per pezzo, tutto il castello accusatorio partendo dal fatto che il cardinale «ha agito sempre in armonia con i vertici della Santa Sede e nel rispetto della Costituzione Apostolica» confermando, ancora una volta, come «l'Obolo di San Pietro non sia stato mai utilizzato per gli investimenti contestati ma sempre e solo per le finalità cui era destinato». Evapora, quindi, l’accusa di appropriazione indebita e personale dell’ex Sostituto di Stato. «La stessa accusa» - ha tuonato l’avvocato Viglione - «non ha contestato a Becciu neanche un centesimo di vantaggio personale. Di tutti i milioni di cui si è parlato, neanche un euro è stato messo da parte”. Accusato di abuso d'ufficio, peculato e subornazione, per questi reati il promotore di Giustizia, Alessandro Diddi, ha chiesto per il cardinale sette anni e tre mesi di reclusione, oltre a 10.329 euro di multa e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Ecco perché il cardinale Becciu più che nel processo si è dovuto difendere dal processo: basti la sola circostanza che, in tutte le precedenti ottanta udienze, l’accusa non è riuscita a presentare una che una pratica che fosse stata avviata e approvata dal prelato di Pattada. «La correttezza dei comportamenti del cardinale Becciu», la conclusione dell’arringa dei difensori «è stata provata per tutte le diverse accuse dalla quali si è difeso: gli investimenti immobiliari, le risorse destinate al tentativo (poi andato a buon fine) di salvare una suora rapita in Mali e le somme inviate per finalità caritatevoli alla diocesi di Ozieri». Sono tornati poi i temi dei versamenti di 125 mila euro alla Caritas di Ozieri e alla cooperativa Spes per il recupero di persone in condizioni di disagio, guidata dal fratello del cardinale Antonino, e la vicenda marginale della Birra Pollicina, riconducibile ad un’impresa dell’altro fratello Mario. «Birra e cooperativa, tutto insieme per fare un titolo perfetto», ha esclamato l’avvocato Viglione. «L’Ufficio del Promotore è rimasto prigioniero di un pregiudizio e di un teorema. Lo dimostra questa accusa: com’è possibile che due donazioni dimostrate come certamente caritative, siano diventate peculato?». Per tutto ciò», concludono Viglione e Marzo, «la nostra richiesta al Tribunale non può che essere: assolvete un innocente». La difesa proseguirà la sua arringa il pros simo 6 dicembre. Previste altre due udienze il 4 e il 5, poi le repliche del promotore di Giustizia l’11 mattina, seguite dalle parti civili lo stesso pomeriggio, e il giorno successivo, il 12, dalle difese. Prima del 16 dicembre, infine, la sentenza. Sarà, per don Angelino, paschixedda o, finalmente Pasca manna?

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