S ul tema delle valute e dei reciproci rapporti insistono tanti e tali fattori da richiedere un approccio professionalmente approfondito e neutro, una competenza economico-finanziaria che si apra ad aspetti storici, geopolitici e psicologici aborrendo i dogmi, e una dose di rispetto: ipotizzare gli andamenti futuri di una moneta è un esercizio ben più incerto e pericoloso dello scommettere ad esempio su un titolo in Borsa.

Era possibile prevedere la rivalutazione del rublo dopo l’imposizione delle sanzioni alla Russia? Probabilmente sì, utilizzando un rigido approccio scientifico; assolutamente no se trascinati dal tifo da stadio che caratterizza l’attuale analisi economica. E quante volte negli ultimi quarant’anni abbiamo letto della morte del dollaro? Eppure il biglietto verde è sempre vivo e adesso sorpassa l’euro, per la prima volta dopo la fine del rodaggio della nostra moneta, nel 2002. Un dollaro = 1,003 euro segna una linea di demarcazione molto importante sulla quale, come premesso, è possibile fare ragionate analisi ex-post ma non sbilanciarsi sul futuro. La memoria storica corre alla fine degli anni ’80, all’inflazione e al debito pubblico italiani tanto elevati (ci risiamo) da definire l’Italia, allergica a manovre correttive, l’anello debole dello Sme, Sistema Monetario Europeo. Gli investitori percepirono la fragilità dell’Ecu (la moneta virtuale dell’Unione Europea) e mercoledì 16 settembre 1992 Soros portò un attacco alla sterlina (che come noi non aveva seguito l’aumento cautelativo dei tassi della Germania) e subito dopo alla lira.

L a nostra immediata perdita valutaria fu di 48 miliardi di dollari. La lira arrivò a perdere il 30% sul dollaro e uscì definitivamente dallo Sme. Le conseguenze furono una manovra lacrime e sangue da 93 miliardi (comprensiva di imposizione dell’Ici e del prelievo forzoso sui conti correnti), recessione e disoccupazione, un crollo di credibilità che avremmo poi pesantemente pagato per entrare nell’Ue con un punitivo cambio euro-lira. (Ps: Dato che Soros avrebbe ripetuto la stessa operazione nel 1997 contro le “Tigri Asiatiche”, c’è chi vede in lui il miglior agente al servizio del dollaro – quando non un anticristo).

Imponendosi trionfalmente la finanza, negli ultimi trent’anni abbiamo messo in atto tre macro meccanismi di disinflazione: la globalizzazione, che ha portato una sensibile diminuzione dei prezzi occidentali grazie all’apertura ai paesi terzi e alle delocalizzazioni produttive; il massiccio investimento nelle energie fossili, che ha permesso un rilevante sviluppo a prezzi contenuti, pur con una contropartita ecologica; la mancata ripartizione dei margini sui salari, con allargamento esponenziale della forbice retributiva occidentale, ineguaglianza dei guadagni e aumento della povertà.

Questi tre meccanismi sono stati tanto efficaci da aver infine creato in Europa un “bisogno di inflazione” del 2% (obiettivo fissato da Draghi per il suo Quantitative Easing), per favorire investimenti ed economia interna. L’obiettivo non è mai stato raggiunto: ci si è accontentati di un 1,1%. Per comprendere cosa avviene ancora bisogna ricorrere alla geopolitica. Gli Usa, nonostante le mosse preventive del ‘92 e del ’97, vedono nascere a inizio secolo due pericolosi concorrenti al dollaro, l’euro e lo yuan. Sulla lotta crescente alla Cina ritorneremo, mentre ho già scritto di come, a margine della crisi dei subprime, nel 2008 proprio l’euro abbia rischiato di crollare: abbiamo evitato un ritorno al baratto per un paio d’ore.

Dopo la pandemia, la guerra in Ucraina ha inciso squassando l’ordine internazionale, facendo esplodere l’inflazione, disarticolando la globalizzazione e minacciando la nostra sicurezza e prosperità. In questo risiko mondiale, quale polo si dimostra debole ed esposto? Indubbiamente l’Europa, sdraiatasi sotto la Nato senza un esercito e una voce autorevole, divisa e purtroppo priva di un’economia autosufficiente. E all’interno dell’Ue alcuni anelli come l’Italia, attenzione, ricopiano la fragilità degli anni ’80 (il Financial Times del 25 agosto parla di attacchi già lanciati). Ci stupiamo che nel 2022 l’euro abbia perso l’11% sul dollaro (16% in 12 mesi) e sia sotto la parità? L’aiuto all’export, subito invocato dai cantori del “tutto bene”, non cambierà una situazione di estremo pericolo: chiediamoci se avremo luce a Natale, invece.

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