C ’è un pubblico di potenziali visitatori che viene ingiustamente marginalizzato sia dalle politiche pubbliche che dagli operatori privati del turismo: i giovani.

L’Organizzazione Mondiale del Turismo delle Nazioni Unite (Unwto) stima che i viaggiatori compresi tra i 15 ed i 29 anni, già nel 2015, rappresentassero il 23% dell’intero movimento turistico mondiale, un mercato che nel 2017 era capace di generare a livello globale un fatturato di oltre 250 miliardi di euro. La struttura di questo mercato e le sue dinamiche di crescita disegnano un quadro in continua trasformazione, caratteristica che dovrebbe spingere gli operatori turistici e le Destination Management Organizations (DMOs) a utilizzare strumenti di analisi del mercato evoluti ed al passo con i tempi.

In questo segmento rientrano infatti i Millennials, quel gruppo demografico di viaggiatori nati tra gli anni Novanta e i Duemila, una generazione caratterizzata da una spiccata familiarità con le nuove tecnologie, essendo cresciuta a stretto contatto con pc, smartphone e internet. In un report pubblicato dalla Wyse Travel Confederation nel 2014 i Millennials venivano classificati come “big spenders”, considerato che il 50% del campione analizzato dallo studio aveva speso mediamente più di mille euro per l’organizzazione del proprio viaggio principale: una spesa che, secondo il Wto, poteva lievitare a oltre 1.500 euro se si considera non soltanto il target dei Millennials ma l’intero comparto del turismo giovanile.

L a generazione successiva, quella dei giovani nati fino al 2010, conosciuta come Generazione Z, certamente più attenta ai temi della sostenibilità, del consumo etico e dell’impatto delle pratiche turistiche, si mostra invece più parsimoniosa nella spesa, ma non per questo disdegna il soggiorno in alloggi in grado di assicurare il comfort e l’accesso a commodities ultramoderne. Si spiegano così le preferenze di alloggio espresse dal campione internazionale di giovani turisti studiato nel 2020 dall’European Travel Commission: il 36% degli intervistati, soprattutto inglesi e tedeschi, dichiara di preferire sistemazioni in alberghi di lusso, mentre soltanto il 9% si orienta verso sistemazioni più spartane, come nel caso degli ostelli. Questa tendenza contraddittoria dimostra, se ce ne fosse bisogno, come il mondo del turismo giovanile non possa essere considerato e gestito come un mercato cristallizzato, ma con strategie di marketing adattate ai molteplici cambiamenti della società contemporanea.

I giovani viaggiano alla ricerca di esperienze che contribuiscono alla loro crescita personale e per conoscere persone e culture, ma anche per vivere situazioni edonistiche di contatto, come succede quando ci si immerge nella vita notturna del luogo visitato. Dobbiamo creare una Destination Management Organization in Sardegna dedicata al turismo giovanile e studentesco, che monitori costantemente l’evoluzione delle aspettative di questo potenziale visitatore e che proponga singole componenti dell’offerta culturale, ricettiva, eno-gastronomica, esperienziale, eventi, tutte verificate grazie a specifici e pubblici protocolli di qualità sia quantitativi che qualitativi definiti con gli operatori che vincolino l’azione di promozione a chi li rispetta.

Ancora: vanno creati appuntamenti adeguati a questo pubblico, eventi stabili che abbiamo cadenza predefinita e non modificabile, così da permettere ai giovani di programmare con largo anticipo e godere di tariffe più basse nei trasporti per raggiungere la Sardegna, iniziative che si svolgano in bassa stagione o nei periodi definiti “di spalla” all’alta stagione e in luoghi dove la contaminazione culturale non sia uno slogan ma una realtà, con il coinvolgimento della comunità locale che deve vedere nel giovane il viaggiatore che ritornerà in quella località perché ha trovato quell’unicum che ognuno di noi ricerca perché vuole provare sensazioni diverse da quelle della quotidianità.

Dobbiamo modificare radicalmente la presentazione dell’offerta culturale attuale; indicazioni e testi debbono essere pensati per un viaggiatore che non consulta guide specializzate, che non legge libri di archeologia, che non capisce perché un vaso esposto in una teca da un museo debba essere definito “fittile”, e non “fatto in terracotta o argilla”, utilizzando un linguaggio che è proprio dei curatori di alcune mostre e dei direttori di molti musei per i quali il visitatore è un fastidio, un’ingombrante presenza che li distrae dalle quotidiane attività di ricerca.

Troppe volte abbiamo puntato sul risultato a breve termine, sulla crescita quantitativa mettendo in secondo piano la qualità dell’esperienza del visitatore. Dobbiamo ripensare e riprogettare il nostro futuro, il nostro territorio, la nostra regione, il Mediterraneo. Dobbiamo investire subito in formazione per gli addetti del settore pubblico e del privato dell’intera catena del valore del turismo, dell’hotellerie, dell’organizzazione di eventi, della programmazione dei servizi, sulla riscoperta dell’enogastronomia identitaria, sulle produzioni tipiche locali, sul recupero delle tradizioni, creando in Sardegna competenze specialistiche che possano proporsi adeguatamente sul mercato internazionale puntando sull’eccellenza: il valore, ricordiamolo, si misura sull’anello debole della catena.

Presidente Consorzio Costa Smeralda

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