A lla fine torna a volteggiare nel Palazzo, ancora una volta, il fantasma del governo tecnico. Torna come un rito sempre uguale, accompagnato dai suoi immancabili misteri e dai poltergeist di riferimento, prima di tutti - ovviamente - lo spiritello porcello dello spread che torna a salire, come certi ectoplasmi che prendono forma nelle sedute spiritiche. Il fantasma del governo tecnico, infine, torna evocato come da un medium proprio da colei che dovrebbe esserne la prima vittima: Giorgia Meloni. Ci torna dopo due giorni di intriganti retroscena.

E dopo che la presidente del Consiglio sceglie di rispondere ai sussurri e ai cigolii di catene con una esternazione preventiva: “Se cado si va a votare”. Ma anche: “Lo spread non mi mette in ansia”. E infine, spavalda: “La preoccupazione la vedo soltanto nei desideri di chi immagina un governo democraticamente eletto debba andare a casa, sostituito da un governo scelto da nessuno”. C’è sicuramente in questa raffica di caustiche esternazioni un doppio calcolo: da un lato è un fuoco di sbarramento preventivo di fronte ad una minaccia, e dall’altro una scaramanzia che consente alla leader di ostentare sicurezza invidiabile.

Ma a questo punto la domanda sorge spontanea: cosa c’è di vero? Per capirlo bisogna riavvolgere la bobina di questi anni. Il governo Ciampi arrivò dopo tonnellate di dichiarazioni che lo definivano con un unico aggettivo: “È impossibile”. Di Lamberto Dini si scriveva: “Figuratevi se tradisce Berlusconi!” (Ovviamente accadde). Di Mario Monti si diceva che per lui era difficile trovare i numeri (ma si sottovalutava il carisma monarchico del “levatore” Giorgio Napolitano). Mario Draghi - infine - arrivò dopo che nessuno aveva dato credito ad un sito locale umbro che raccontava del suo incontro segreto a Todi con Matteo Renzi. Quindi la tradizione spinge alla prudenza, malgrado quel che dice la Meloni sia vero. Esistono tuttavia delle condizioni che creano un clima propizio per un progetto di questi tipo.

Il primo punto è che, dopo una prima fase di studio, l’Europa della maggioranza Ursula ha chiuso la luna di miele con la Meloni. Il secondo è che si sta determinando nel bilancio dello Stato una tempesta perfetta a noi sfavorevole: la fine della sospensione del patto di stabilità e il rinnovo del suo più folle meccanismo (il vincolo al 3% fissato in un altro secolo da un anonimo funzionario dell’amministrazione Mitterrand). Poi c’è la crescita continua e non contenibile del debito pubblico. E infine c’è una lama a doppio taglio che rende centrale la Meloni. Il suo partito sarà determinante nel prossimo Parlamento per eleggere l’erede di Ursula Von Der Leyen: detronizzare la premier italiana significa favorire il secondo mandato di Ursula. L’ultimo elemento è che, come nel castello di Elsinore, c’è qualcosa nelle mani di Amleto. E si tratta del cranio di Paolo Gentiloni: commissario europeo (critico con le politiche economiche del governo), riserva della Repubblica e ormai a fine mandato nell’eurogoverno. È il possibile erede della Schlein e il possibile sostituto della Meloni. La giornalista che per prima ha scritto di questo possibile “piano”, Annalisa Cuzzocrea, spiega che l’ipotesi di un governo tecnico “gentiloniano” sarebbe agevolato da una “doppia rimozione” parallela: sbullonare Giorgia Meloni da Palazzo Chigi e decapitare la nuova signora del Pd. Tuttavia esistono anche enormi elementi di differenza, rispetto agli anni tra il 1993 e il 2021: il primo è che nessuno dei governi tecnici ha davvero funzionato. Il secondo è che Giorgia Meloni non ha scheletri nell’armadio, e vive una condizione di i nvidiabile solidità politica nella sua maggioranza. “Il vero motivo per cui un governo tecnico non può nascere - mi dice uno che in materia la sa lunga, Gianfranco Fini - è che non ci sono i numeri, perché nessuno di Fratelli d’Italia lo voterebbe mai”. Avvisate Gentiloni.

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