C hiunque sia al governo in Italia, la sessione di bilancio si risolve in una sorta di braccio di ferro fra le forze politiche che vogliono spendere (se possibile a debito) e le istituzioni europee e, anche se in misura minore che in passato, i nostri creditori. Costoro hanno interesse che il Paese abbia conti in ordine non per “rigorismo” ideologico (ammesso che qualcosa del genere esista), ma perché gli uni, i titolari dei titoli di debito, vogliono il maggior grado di sicurezza possibile sulla capacità dello Stato italiano di pagare loro gli interessi dovuti; e le altre, Bruxelles e affini, desiderano stabilità finanziaria per evitare turbolenze sull’euro.

Come ha scritto Federico Fubini sul Corriere della sera, dal momento che i greci stanno riuscendo a ridurre il loro debito pubblico, fra poco l’Italia sarà probabilmente il Paese italiano col debito pubblico più grande rispetto al prodotto interno lordo.L’Italia da lustri lotta con un debito troppo elevato, ma la situazione è vistosamente peggiorata con la pandemia. Se era inevitabile che un governo che costringeva le attività economiche a restare chiuse per mesi le compensasse almeno in parte per i mancati introiti, da noi l’inevitabile è stato accolto con fervore messianico. Finalmente tornava lo Stato. Il Covid-19 era “come una guerra” ed esigeva l’equivalente della finanza di guerra. Il debito poteva essere “buono”.Da principio, questa ubriacatura ideologica sembrava essere suffragata da risultati notevoli.

L ’opinione pubblica si è illusa (è stata illusa?) che tassi di crescita come non si vedevano dagli anni Sessanta fossero la conseguenza non di un naturale “rimbalzo” (maggiore la caduta del prodotto, più facile la risalita) bensì dei “ristori”, dei bonus, o dei grandi investimenti del Pnrr che andavano prendendo forma. Tutt’oggi qualcuno sostiene che il raffreddamento dell’economia italiana sia la conseguenza della revisione del Superbonus, ovvero delle difficoltà a realizzare le opere del Pnrr.La realtà è più semplice e insieme più triste. Negli ultimi anni, il Paese non ha superato nessuna delle sue debolezze (spesa pubblica troppo elevata, economia privata ingessata, istruzione di bassa qualità, scarsa capacità di valorizzare i migliori) e si è messo in una situazione ancor più insostenibile, sul piano finanziario, che in passato. In parte c’è stata furbizia: l’Italia è un po’ come una banca che pensa di non poter fallire, perché è talmente indebitata che la sua bancarotta innescherebbe una tempesta tale che la Bce e l’Europa dovranno far di tutto per disinnescarla. Questo è probabilmente vero ma lo è altrettanto che il processo sarebbe ugualmente drammatico, per contribuenti e risparmiatori, cosa che si tende a dimenticare. In parte ha contato una forma di miopia. È innegabile che determinate misure abbiano dato ossigeno a certi settori, per esempio l’edilizia, così come è innegabile che bonus e ristori generosi abbiano rappresentato ottime notizie per alcune persone, che hanno potuto fare spese che altrimenti non avrebbero fatto o che avrebbero procrastinato.

Il punto non è negare i vantaggi ottenuti da alcuni individui, come sembra pensare l’ex premier Giuseppe Conte. Il punto è che quei vantaggi non sono manna caduta dal cielo: c’è sempre qualcuno che paga. I governi possono senz’altro dare a Tizio, ma al prezzo di togliere a Caio - o, in questo caso, ai nipoti di Tizio e di Caio, alle generazioni future cui vogliamo lasciare il conto delle spese presenti.Questo banale dato di fatto è costantemente negato dalle nostre leadership, per cui esiste da una parte la spesa pubblica, sempre benefica, e dall’altra vincoli esterni che purtroppo ci impediscono di indebitarci quanto necessario per spendere tutto quel che sarebbe opportuno spendere.In Italia, questo è ormai il vero pensiero unico: destra e sinistra si dividono soltanto sul “chi” deve trarre beneficio dalla maggiore spesa, non sul “se” essa sia opportuna. Soprattutto quando è in vista un appuntamento elettorale, come le europee del 2024, che accresce l’appetito dei partiti.

Fa bene il centrodestra a ricordare che il Superbonus ha messo a repentaglio i conti. Meglio sarebbe se provasse a metterli in sicurezza, evitando che l’Italia sperimenti, dopo l’avventurismo finanziario di sinistra e quello tecnocratico, anche quello sovranista.

Direttore dell’Istituto

“Bruno Leoni”

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