I primi cento giorni di Giorgia Meloni sono stati l’offensiva della credibilità. Il suo predecessore, Mario Draghi, era arrivato a Palazzo Chigi in virtù della lunga esperienza internazionale. In quella dimensione, Meloni sembrava non poter competere. E invece con costanza e determinazione proprio di lì Meloni ha cominciato, ha allacciato relazioni con mondi a lei nuovi ed estranei in Europa e nel mondo, dimostrando agli osservatori che del suo governo non c’è da aver paura. I toni della stampa si sono ammorbiditi e pare improbabile che Joe Biden citi di nuovo l’Italia, come aveva fatto nella campagna elettorale per le elezioni di mid term, come spauracchio.

Su questo terreno, si è vista l’abilità della premier. I cui problemi sono stati e saranno diversi. Il governo Meloni finora ha dovuto seguire un canovaccio scritto da altri: andava scritta in piedi in fretta e furia la legge di bilancio, nella quale il nuovo governo ha potuto lanciare solo pochi segnali. Due sono stati importanti: la relativa prudenza in tema di finanza pubblica (riaffermata come valore dal ministro Giorgetti in questi giorni) e la riforma del reddito di cittadinanza.

L ’orizzonte del governo, dicono a Palazzo Chigi, è di legislatura e per una volta questa non sembra essere una pia illusione. Se non altro perché l’operazione, al momento, si è messa fuori gioco da sola. Ora, il centrodestra sembra impegnato nella partita, delicata, delle nomine: sono cambiate le figure di vertice al Tesoro e il governo l’ha spuntata nella battaglia per la vicepresidenza del Csm. Fra poco si aprirà la lunga stagione dei rinnovi nelle partecipate e Meloni e la sua coalizione dovranno dimostrare di saper dosare appartenenza e competenza. Non sarà facile.

La vera sfida, però, è prendere in mano l’agenda politica. Che cosa vuole davvero fare Giorgia Meloni? La risposta non è ancora chiara. Il più loquace dei ministri del governo è Carlo Nordio, che incarna una tradizione nobile, garantista e liberale, non solidissima nella destra di oggi. Nelle sue interviste, Nordio distilla principi encomiabili che, per ora, non si sono concretizzati in provvedimenti di riforma.Sui temi economici, l'esecutivo si muove in modo confuso. Quali sono le priorità? Meloni ha affidato la delega sulle questioni fiscali a un esponente capace e competente di Fai, Maurizio Leo. Il fisco avrebbe bisogno di una riforma organica e Leo sicuramente ne mastica. È su questo che punterà il governo di centrodestra? All’istruzione c’è un altro ministro di provata competenza, stavolta leghista, Giuseppe Valditara. Dobbiamo aspettarci una riforma della scuola, nel segno del merito? I ministri dell’industria e del welfare, Urso e Calderone, sapranno impegnasi un’operazione di diboscamento normativo, in nome del motto “lo Stato non deve ostacola chi ha voglia di fare”? Si continua a parlare di autonomia (ministro Calderoli) o riforme istituzionali (Casellati). È questo il terreno sul quale si vuole scendere?

Meloni è stata molto criticata per alcune sue “retromarce”, come sulla tassazione dei carburanti. È facile inchiodare un leader politico alle sue passate dichiarazioni ma la scelta della prudenza, da parte della premier, entra in un’evoluzione coerente. Se l’orizzonte è quello di costruire un partito conservatore, la prudenza non dovrebbe essere una sorpresa, dal momento che i conservatori vedono la società come una partnership fra i morti, i viventi e i non ancora nati. Ma ciascuna delle possibili azioni che abbiamo menzionato ha un costo elevatissimo in termini di capitale politico: vuol dire confrontarsi e scontrarsi coi magistrati, o coi docenti delle scuole, coi mandarini del fisco o i sacerdoti della “Costituzione più bella del mondo”. La capacità di rispondere agli attacchi è limitata, il capitale politico è scarso. Come vuole impiegarlo, la presidente del consiglio? In questi primi cento giorni, non l’abbiamo ancora capito.

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