A quattro mesi dall’inizio della mediaticamente ostentata controffensiva ucraina, solamente una minima parte del territorio attualmente sotto l’occupazione della Federazione russa è stato liberato dalle forze militari di Kiev. Sebbene il successo, o l’eventuale fallimento, di una campagna militare di tali proporzioni non possa, né può essere misurato solo in chilometri quadrati, evidenti segnali di possibili e importanti cambi di scenario sulla lunga durata sono chiaramente avvertibili. Da settimane le forze armate ucraine costantemente raggiungono importanti risultati militari.

T utto ciò porta a una costante riduzione delle capacità dell’esercito russo di condurre la guerra secondo i propri piani, soprattutto in Crimea. Numerosi, infatti, sono stati gli attacchi strategicamente significativi compiuti in tutta la penisola sotto occupazione russa dall’inizio del 2014 e snodo logistico determinante per l’invasione in corso. Operazioni mirate all’interruzione e alla parziale distruzione delle linee di comando e rifornimento della flotta russa nel Mar Nero condotte con droni di produzione, spesso artigianale, ucraina, missili di provenienza occidentale e incursioni di commandos che hanno un duplice obiettivo: minare l’efficacia della linea di comando dell’esercito russo (come dimostra la “caccia” ai vertici militari russi) e dimostrare la fragilità della propaganda del Cremlino che proprio sulla Crimea aveva tracciato la sua “linea rossa”, considerandola a tutti gli effetti territorio della Federazione russa.

I gravi imbarazzi procurati a Putin dagli attacchi ucraini sul fronte in Crimea, tanto su precisi obbiettivi militari che sulle vitali infrastrutture, così spettacolari da attirare i titoli della stampa internazionale, non hanno solamente messo a nudo l’efficacia delle difese aeree russe e sottolineato la vulnerabilità della flotta russa nel Mar Nero settentrionale, ma hanno anche svelato le precise intenzioni di Kiev, formalmente sempre condannate da Washington: colpire con sempre maggiore regolarità obiettivi all'interno della Russia, come dimostrano i pressocché quotidiani attacchi di droni a Mosca e nelle regioni russe prossime al confine, soprattutto snodi aeroportuali internazionali. È questa, dunque, una lunga campagna di logoramento, che si accompagna alla guerra di posizione lungo le trincee ucraine, divenute quasi una contemporanea replica di quel fronte statico della Grande Guerra così magistralmente raccontato da Remarque nel suo romanzo “Niente di nuovo sul fronte occidentale”.

Se impossibili sono le previsioni sulla fine di un conflitto che ha manifestato la volontà delle cancellerie di Mosca (e Pechino) di riorganizzare l’ordine mondiale in funzione multipolare, si può tuttavia riflettere sui limiti di un’efficace azione politica dell’Unione europea. Minata al suo interno da fratture che rivelano l’incapacità decisionale di fondo, Commissione europea e Consiglio Ue non sono né riusciti a promuovere una concreta azione diplomatica per la pacificazione di un conflitto in corso poco oltre i suoi confini, né sono stati a oggi capaci di trasmettere un chiaro messaggio di dedizione e affidabilità, non solo ai suoi cittadini, ma al mondo. È questo un gravissimo errore perché, come ha anche recentemente e giustamente ricordato Romano Prodi, la mancanza o l’impossibilità di funzionamento delle strutture internazionali, Ue e Onu (entrambe incapaci di gestire la crisi), rischia di compromettere seriamente la stabilità dell’ordine internazionale nei prossimi decenni.

È sicuramente auspicabile che quanto prima gli Stati Uniti e la Cina, i due grandi attori protagonisti che si muovono dietr o le quinte del conflitto in Ucraina, decidano di impegnarsi fattivamente per una mediazione capace di rompere l’attuale spirale di violenze, ma non è più accettabile che la Comunità europea rimanga inerte.

Università di Cagliari

© Riproduzione riservata