U ltimi dati Istat: la popolazione della Sardegna dal 2002 al 2022, dunque negli ultimi 20 anni, è diminuita da 1.630.004 a 1.587.413 perdendo 42.591 residenti. Il dato complessivo non è comunque così preoccupante quanto quello specifico sul tragico calo della popolazione giovane: il numero dei 18-34enni è passato da 417.972 a 251.594, con una perdita-monstre di 166.378 unità. La percentuale dei giovani sul totale della popolazione sarda è dunque calata dal 25,6% al 15,8%, dati che marcano un declino diventato ormai un pericoloso circolo vizioso.

L a popolazione invecchia, non si rinnova, mancano le risorse che possano consentire in futuro una qualità di vita paragonabile all’attuale – banalmente scompaiono quanti dovrebbero pagare le nostre pensioni, i servizi e le nostre cure in tarda età – e contemporaneamente diminuiscono le possibilità d’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e i loro investimenti (quante nuove coppie possono oggi permettersi di acquistare una casa?).

Quello che sta avvenendo sul taglio delle pensioni (non voglio approfondire qui i temi delle quote 103-104, del retributivo o del contributivo) è purtroppo solo il prodromo di quello che saranno le finanziarie dal 2024 in poi. La situazione dell’Italia, con i giovani al 17,5%, non è peraltro rosea, né potremo contare sull’Europa, anch’essa affetta da invecchiamento demografico.

Pensiamo poi che la situazione energetica nei prossimi anni migliori, e in base a quale miracolo? Sempre in ottica fideistica: miglioreranno il nostro debito pubblico, i tassi sui mutui, l’economia in genere, la sanità, i trasporti, le infrastrutture? E migliorerà la situazione mondiale quando ormai il pensiero dominante è diventato quello bellico, della ritorsione e contro ritorsione, mentre gli obiettivi di pace evaporano in un orizzonte gotico?

Il trittico che ci ha sempre sostenuto, “un passato disastroso, un presente così così, ma poi un radioso futuro”, si sta ribaltando senza che ci accorgiamo: bei tempi quando l’economia tirava, quando c’era lavoro giustamente retribuito, quando i prezzi erano bassi, il debito sotto controllo. Quando la corruzione era fisiologica e almeno si costruivano le autostrade, le dighe, le compagnie di bandiera (anche la Sardegna ne aveva una, non dimentichiamo la gloriosa Alisarda cancellata da menti ristrette), e le nostre capacità erano riconosciute nel mondo! Quando eravamo in pace e si costruiva per il progresso – ci ricordiamo la costituzione italiana? Già adesso siamo invece l’un contro l’altro armati, sono state abbattute persino le barriere partitiche e siamo ormai ufficialmente cobelligeranti, in una deriva storica d’anteguerra.

Le nostre discutibili doti di “volo a geometria variabile” potrebbero forse essere valorizzate in un mondo che si spezzetta e si ricompone, ma invece semplicemente, prevedibilmente, noi soggiacciamo: all’Europa che non comprendiamo che cosa sia e dove vada (sembra che vogliano toglierci anche il Natale, ma forse no perché, scoppiata la guerra in Palestina, ci si riposiziona); agli Stati Uniti che sino a ieri indicavano la Cina come “primo e prossimo nemico strategico” e oggi siedono al tavolo cinese perché iniziano a comprendere che non possono gestire troppi fronti; all’Occidente in generale, i cui unici confini netti sembrano essere quelli dei “diritti”, essendo tutto il resto negoziabile, persino radici e storia.

La povera Sardegna invecchiata e malata può però muoversi rispettando in fondo due sole regole: non disturbare i piani alti ed essere vivaddio coerente. Non si può continuare a vantare che tutto va bene, che non c’è posto al mondo come la Sardegna, che ci sono rilevanti segni di risveglio, imprenditori illuminati, giovani talentuosi, artisti eccelsi, dirigenti e politici di rango, e poi non smettere di lamentarsi. Procurade 'e moderare, e mudos, suvvia.

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