L a sanità, in Sardegna e non solo, è la spina nel fianco dei nostri amministratori. La pandemia ha messo a nudo limiti strutturali ma il disastro attuale ha origini antiche. Paghiamo lo scotto di scelte sbagliate (il numero programmato male degli accessi a Medicina, per esempio) fatte negli anni.

Ora un sistema minato ci sta presentando il conto: reparti chiusi, medici insufficienti, livelli minima di assistenza non rispettati, pronto soccorso intasati, interventi chirurgici rinviati, liste d’attesa infinite.

In Sardegna, le giunte che si sono succedute da quando esiste l’elezione diretta del governatore (Soru, Cappellacci, Pigliaru, Solinas) hanno pensato di affrontare il problema proponendo una riforma sanitaria. Ne abbiamo avuto quattro in altrettante legislature. E siamo al punto di prima: nel caos.

Ma nell’ultimo tentativo, firmato Solinas-Nieddu, c’è un aspetto che ha quasi del grottesco.

Ricapitoliamo: la riforma ha creato un’azienda regionale (Ares), una per l’emergenza-urgenza (Areus), una ospedaliera (Brotzu), due ospedaliere-universitarie (Cagliari e Sassari) e otto Asl.

L ’idea, non disprezzabile, era di potenziare la sanità nel territorio, ricostituendo le Asl che la giunta Pigliaru aveva eliminato in favore delle Aree, organismi che nella sostanza non avevano funzionato. Costituite le Asl, la riforma le ha assegnato personalità giuridica. E a questo punto si è verificato il cortocircuito. Attribuendo alle Asl personalità giuridica, gli otto direttori generali si sono sentiti autorizzati a chiedere ampi poteri e a godere di una sostanziale autonomia dall’azienda regionale. Una prospettiva sgradita al presidente della giunta. Da qui la prima stesura delle linee guida fatta dall’assessorato che, in sostanza, metteva la mordacchia alle Asl, limitandone i poteri, specie in materia di spesa, di appalti, forniture e così via. Una proposta indigesta ai direttori generali che si sono lamentati con i partiti di riferimento. E la reazione non è tardata a arrivare. In commissione Sanità, chiamata a dare un parere non vincolante ma obbligatorio alla proposta di linee guida, il testo è stato stravolto, rendendolo più favorevole alle Asl. La Giunta Solinas avrebbe dovuto recepire le indicazioni ma ciò avrebbe significato depotenziare il dg di Ares, molto vicino al governatore. Risultato: non si è fatto niente e in pratica le Asl, prive di linee guida, devono limitarsi all’ordinaria amministrazione. L’ennesima riforma sanitaria, quindi, è finita in un pantano. Né più né meno come quelle di Cappellacci e Pigliaru. Tanto più che la legislatura è praticamente conclusa. Tralasciando la possibilità che Solinas si candidi alle Politiche del 25 settembre, anche se ciò non avvenisse, non ci sarebbe il tempo, tra campagna elettorale, post elezioni, feste di Natale e via discorrendo, per completare la riforma sanitaria e farne altre. Le Regionali (febbraio 2024) sono dannatamente vicine, partiti e consiglieri sono già impegnati a definire candidature e tentare la rielezione. Le riforme possono attendere il prossimo giro di giostra. Nel frattempo, si susseguono casi di malasanità e anche qualche fatto divertente, se non fosse foriero di disagi per gli utenti. Il Microcitemico di Cagliari, per esempio. Per volere dell'Udc (che ambiva a potenziare l’Asl 8, di sua pertinenza), è stato staccato dall’Azienda Brotzu, di cui storicamente faceva parte. Ma così il Microcitemico, che col Brotzu aveva in comune sistema di prenotazioni, utilizzo di laboratori e macchinari e persino la compilazione delle buste paga dei dipendenti, è andato in tilt. Adesso, l’idea è di riaccorparlo con il Brotzu, tornando a “su connottu”. Le Asl e la vicenda Microcitemico sono esempi lampanti di come l’ingerenza dei partiti sia il vero male della sanità sarda.

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