Q uante volte davanti alle difficoltà si sente ripetere: nessuno ti insegna a fare il genitore. È vero, si impara sul campo dove peraltro le insidie sono moltissime e cambiano nel tempo, così non si sa mai a fondo se si è agito bene. Crescere i figli, educarli, fornire loro gli strumenti per comportamenti improntati innanzitutto al rispetto dell’altro, poi alle regole della convivenza civile, è il compito di un padre e una madre. Che non possono comunque dimenticare un altro obbligo: la protezione.

Il problema che pone la vicenda di Arbus è esattamente questo: dove finisce il diritto-dovere-potere dei genitori di salvaguardare i loro ragazzi e dove inizia quello degli insegnanti a educare gli alunni? In quale momento e come la famiglia cede l’autorità alla scuola? E forse non è neppure ben posta la domanda perché in realtà famiglia e scuola dovrebbero continuare la stessa opera di educazione senza soluzione di continuità, dunque senza scontri, in un clima anzi di alleanza.

Invece, succede sempre più spesso che se i ragazzi in classe non rispettano i docenti, i genitori invece di richiamare i figli li difendano accusando di fatto l’autorità scolastica che a quel punto di autorevole non avrà più nulla. Non agli occhi di quel ragazzo né a quelli dei compagni che potranno pensare di imitarlo. Quei genitori non si rendono conto che levando autorevolezza all’insegnante tolgono qualcosa di molto importante al proprio figlio: la scuola non serve solo per insegnare storia e geografia, italiano e matematica.

I n classe si impara a convivere in una comunità. Dove non esiste la libertà di fare tutto quello che si vuole: ci sono regole da rispettare. Se si comporta male e il prof lo rimprovera ma lui sa che tanto dopo ci pensano papà e mamma, che cosa potrà mai imparare quel ragazzo? Il problema è che molti genitori sono ancora ragazzi, nel senso che non solo vogliono sentirsi giovani ma vogliono fare i giovani, più dei figli, dei quali diventano amici, e i comportamenti sono gli stessi. In questo modo ai ragazzi si nega innanzitutto l’esempio, perché al di là delle parole sono le azioni quelle che contano.

Il ragazzo che non tollera il rimprovero del professore e chiama i genitori che lo difenderanno sempre e ovunque quanto è responsabile dei suoi comportamenti? Se sa che ogni cosa sarà comunque giustificata perché mai dovrebbe assumere toni e posture diverse? Se non studia e viene bocciato e poi i genitori preparano un bel ricorso al Tar chi glielo fa fare di faticare sui libri? Se spara con una pistola a pallini contro la professoressa durante la lezione e i genitori dicono che no, il basso voto in condotta non è giusto e partono con le azioni legali, potrà mai capire il disvalore delle sue azioni?

Sull’altro fronte: se un insegnante convoca i genitori e questi, indignati e offesi, giurano che il loro figlio mai e poi mai, non è stato lui, non merita il voto basso, quale risposta potrà dare la scuola? Il rischio è che per il quieto vivere di docenti, genitori e alunni si faccia finta di niente regalando voti di buona condotta e promozioni, tanto poi ci penserà la vita. Che dire poi di quanto succede sui campi sportivi, con genitori che gridano contro arbitri-ragazzini o pretendono dall’allenatore che il figlio giochi per forza. Meno male che ci sono sportivi come il tecnico veronese che, pur non avendo più nessuno in panchina, non ha esitato a chiamare fuori un baby calciatore che aveva insultato gli avversari. Hanno perso la partita, ma che lezione di vita.

I bambini imparano fin dall’asilo il rispetto per gli altri e crescendo maturano anche la consapevolezza del perché. Così sapranno distinguere le azioni positive da quelle negative. Negli ultimi tempi, invece, anche davanti a fatti gravissimi, abbiamo spesso sentito dire che i minorenni hanno chiesto: che cosa ho fatto di male? Ecco: l’educazione porta al rispetto e introduce il tema della legalità. Va ribadito, la scuola non è soltanto istruzione, dunque gli insegnanti devono essere autorevoli. E il testimone lo devono ricevere proprio dai genitori.

Certo, viviamo un periodo difficile, anche fuori dalle scuole. È di qualche giorno fa la protesta dei medici in elmetto e giubbotto antiproiettile: volevano far capire in che situazione lavorano, vittime di continue aggressioni, specie al pronto soccorso. Succede anche sulla strada, le liti violente tra automobilisti sono sempre più pericolose. L’aggressività è ovunque, perfino nella fila alla cassa del supermercato. Solo che quando succede a scuola o in ospedale diventa raccapricciante perché sono i luoghi dove ci prepari amo alla vita e dove veniamo curati.

Nessuno insegna ai genitori come si fa, è vero, ma pur da autodidatti bisogna conquistare almeno la sufficienza. Per i ragazzi. Il loro futuro.

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