I eri mio padre, un professore in pensione, mi ha confessato di non guardare più film alla televisione. A ottant’anni prova disagio a intrattenersi mentre, in Ucraina, infuria la guerra e la gente muore. Solo i continui telegiornali e i talk show sull’argomento sono degni di essere guardati senza provocare, in lui, sensi di colpa, o di inadeguatezza. Ho tentato quindi di spiegargli che informarsi una volta al giorno sarebbe stato sufficiente e che focalizzarsi esclusivamente sugli esiti del conflitto avrebbe avuto sul suo umore effetti devastanti.

E , così, l’ho invitato a sottrarsi – almeno per un’ora - all’incessante carosello di comunicati sulla guerra e a sfuggire, fra l’altro, al continuo stillicidio dei bollettini Covid. Insieme, abbiamo acceso il computer e cominciato un viaggio alla ricerca delle più suggestive testimonianze legate alla letteratura sarda di cui è appassionato.

Su Youtube c’era un filmato di Mario Ciusa Romagna che ricordava di quando, nella Cattedrale di Nuoro, un prete maschilista indicò Grazia Deledda durante la predica e le consigliò di pregare Dio anziché interessarsi a certe storie indegne. Preziosissimo anche il filmato di Rai Sardegna in cui Giuseppe Dessì intervista il novantunenne Battista Corraine (detto Zoeddu) a proposito della sanguinosa disamistade che - tra il 1905 e il 1927 - vide protagonista la sua famiglia e quella dei Cossu, costringendolo a vivere alla macchia per trent’anni. È un filmato sgranato, in bianco e nero: ma l’audio è perfetto. Il pastore racconta allo scrittore della sua vita: lo fa in lingua sarda, con la voce stanca. Abbiamo poi visto Emilio Lussu che, nel 1946 - da Ministro dell’assistenza post-bellica - parla commosso via radio ai soldati italiani prigionieri di guerra dicendo: «Abbiamo la speranza che per il prossimo Natale ciascuno di voi celebri la pace nel seno della sua famiglia». E lo stesso possiamo augurare noi, oggi, a tutto il popolo ucraino.

Abbiamo poi ascoltato con commozione le parole di Sergio Atzeni lette da Lella Costa e accompagnate dalla musica di Paolo Fresu: «Non so definire la parola felicità. Ovvero, non so che sia la felicità. Credo di avere sperimentato momenti di gioia intensa da battermi i pugni sul petto, al sole, alla pioggia, o al coperto, urlando, o da credere di camminare sulle nuvole, o da sentire l’anima farsi leggera e volare alta fino a Dio. È capitato di rado. È la felicità così breve? Così poca?». Ci ha emozionato anche la voce di Pier Paolo Pasolini che leggeva Le Ceneri di Gramsci: «Non è di maggio questa impura aria che il buio giardino straniero fa ancora più buia. (…) Spande una mortale pace, disamorata come i nostri destini, tra le vecchie muraglie, l’autunnale maggio. In esso c’è il grigiore del mondo, la fine del decennio in cui ci appare tra le macerie (…) il silenzio fradicio e infecondo». A Gramsci – nella ricorrenza dei cinquant’anni della sua morte – è stato dedicato anche un lungo e interessante documentario realizzato dalla televisione britannica Channel 4.

Alla fine, mio padre mi ha ringraziato per averlo aiutato a evadere, almeno per un po’, dalle continue preoccupazioni che, ormai da troppo tempo, attanagliano la mente di noi tutti: lasciandoci un senso di impotenza e, spesso, anche di colpa. «Dovremmo distrarci più spesso», ha aggiunto, rendendosi conto che occuparsi ossessivamente dell’emergenza sanitaria e del conflitto in corso, sarebbe servito soltanto a fargli perdere di vista ogni altra cosa: e, dunque, anche la felicità.

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