D evono farsene una ragione anche quelli tra noi che continuano a portare la mascherina al chiuso e a nettarsi le mani col gel igienizzante, mentre a guardarci intorno abbiamo la sensazione che magari l’Oms ha dichiarato la fine della pandemia e noi non ce ne siamo accorti.

Dobbiamo imparare a convivere col virus. Col 90% della popolazione vaccinata, un vaccino anti Omicron pronto in autunno e i nuovi farmaci antivirali, volenti o nolenti, che ci sentiamo pronti o che lo siamo fin troppo, è tempo di cominciare a trattare con questo agente infettivo. Il quale, ci è stato spiegato dagli epidemiologi aperturisti e adesso pure dal Governo, nei prossimi anni sarà considerato alla stregua di un virus influenzale, magari il più temibile, ma niente di più.

Peccato che, mentre gli obblighi sono via via caduti e sostituiti da stanche “raccomandazioni”, il virus ha ricominciato a circolare più veloce che mai, spinto dalle sottovarianti 4 e 5 di Omicron, talmente diffusive che tra un po’ si attaccheranno pure ai lampioni. La curva epidemica è tornata a crescere ovunque nel mondo, e nel nostro Paese, si parla già di “nuova ondata”.

I l che - al netto dell’immunizzazione di massa, scudo peraltro sempre meno efficace a molti mesi dall’ultima dose - ci riporta alla mente una delle prime lezioni di epidemiologia, ciò che pure noi non addetti ai lavori abbiamo imparato: più cresce il numero delle infezioni più aumentano le ospedalizzazioni e, di conseguenza, i morti. È una questione di proporzionalità, e non a caso si utilizzano modelli matematici e statistici per stimare e prevedere (a date condizioni) la diffusione degli agenti infettivi.

È qui che noi che portiamo la mascherina al chiuso, e per la verità pure molti di quelli che non vedevano l’ora di levarla, cominciamo a vacillare e a considerare con sospetto l’idea di convivere col virus. Anche perché è evidente che questo dev’essere uno di quei tipi che gli dai un dito e si prendono il braccio.

Sarà pure vero che la gente è stanca e che è impensabile tornare a restrizioni rigorose, ma il virus non è iscritto ad alcun partito se non il proprio (si chiama Riprodursi) e le pandemie non scompaiono, e neanche si attenuano, perché lo dice la politica. Il virus si riproduce (dentro le nostre cellule), si diffonde nella comunità e muta (lo si direbbe intelligente se non fosse un microrganismo a metà tra la vita e la non-vita), anche se viene dichiarata la fine dello stato di emergenza, e smantellati gli hub vaccinali e le Usca, buttato il green pass e levate le mascherine. Anche se la gente non ne può più dei virologi in televisione, peraltro sostituiti da generali e strateghi che parlano della guerra in Ucraina.

Viene il dubbio che, con le famiglie afflitte dal carovita e le imprese in croce per l’impennata del costo delle materie prime, la decisiva svolta aperturista del Governo sia fondata più che su considerazioni di tipo tecnico, su scelte volte a massimizzare il consenso. La politica è fatta di scelte, ci mancherebbe. Ma adesso noi tutti afflitti dall’impennata dei prezzi stiamo assistendo all’impennata dei contagi, e ci chiediamo se per caso quella scelta non sia stata fatta nel momento sbagliato.

Dobbiamo convivere col virus perché, è stato spiegato, non scomparirà ma diventerà come quello dell’influenza? Gli obblighi non servono perché, pur con tanti contagi, Omicron causa meno ricoveri e meno morti? Va bene, però, siccome dietro i numeri ci sono le persone - i fragili, gli anziani, le famiglie in lutto -, viene difficile comprendere che quella scelta politica sia essenzialmente basata su quello che viene definito un livello «accettabile» di infezioni, e soprattutto di ricoveri e decessi. Oggi, con i ricoveri e i morti in aumento, sia la pressione sugli ospedali che i decessi (uno ogni mille infettati, viene spiegato) sono ritenuti «accettabili».

E qui torniamo a noi, a chi si tiene ben stretta la mascherina e a chi neanche le compra più. Posso «accettare» che i miei genitori anziani e i nonni finiscano all’altro mondo? E che un mio parente fragile debba barricarsi in casa per paura di essere infettato; che interi reparti in ospedale siano occupati (ancora) dai pazienti Covid; e che tante, tante persone con altre malattie si vedano rinviare una visita o un intervento? «Non è tutto finito», si affannano a ripetere adesso dal fronte aperturista che ha pensato bastassero le generiche raccomandazioni, aprendo la falla del liberi tutti.

Sicché, non resta che mettere a frutto quanto di buono ci ha comunque insegnato l’esperienza della pandemia. Non possiamo pensare di cancellare il virus, tutti i virus, dalla faccia della terra, e perciò sì, dobbiamo cominciare a conviverci. Significa che, come certe conoscenze, per capire come interagisce con noi dobbiamo innanzitutto proteggerci. Vacciniamoci, se non lo abbiamo ancora fatto, e mettiamo la mascherina (se è il caso e con buonsenso) anche dove obbligatoria non è. Le convivenze non cominciano mai senza una conoscenza. Vale per gli affetti, figuriamoci per i virus.

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