S i è tenuta a Sharm el-Sheikh, in Egitto, la Cop27 sui mutamenti climatici, cui hanno partecipato 197 Paesi. Per la stampa si è trattato della Conferenza sul clima con minore libertà di espressione. I lavori si sono svolti sotto la regia della Cina e del G77, il gruppo dei Paesi in via di sviluppo, molti dei quali considerati vulnerabili in quanto maggiormente colpiti da questi fenomeni.

I l risultato principale della conferenza è costituito dall’istituzione di un “Fondo per le perdite e i danni”, la cui struttura insieme alle sue modalità di funzionamento sono state rimandate ad un futuro “Comitato di transizione” che dovrà decidere entro la fine del 2023 chi paga, chi saranno i beneficiari e con quali strumenti finanziari saranno regolati i rapporti di credito e di debito. Per ora, il Fondo è solo una scatola vuota da riempire di contenuti, ma in ogni caso è un risultato storico che non si sarebbe raggiunto senza l’impegno diplomatico di Germania e Irlanda, che hanno sbloccato la posizione dell’Ue e trovato una soluzione condivisa anche dagli altri Paesi.

La soluzione di compromesso accontenta sia il gruppo dei Paesi in via di sviluppo, inclusa la Cina, sia il fronte occidentale guidato da Stati Uniti, Unione europea e Gran Bretagna. Tutti erano impegnati a portare a casa il risultato, anche se, vista la distanza fra i due blocchi, i dettagli sono stati rimandati al futuro Comitato di transizione, che tra le altre cose dovrà definire entro il 2023 anche l’elenco dei Paesi donatori e quello dei beneficiari.

Nel testo si fa cenno a un’ampia base di Paesi donatori, prevalentemente quelli sviluppati, che per il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans dovrebbe includere anche la Cina, mentre Pechino, spalleggiata dai Paesi in via di sviluppo, non intende assumere alcun obbligo al riguardo.

«È stata una partita a scacchi con vincitori morali e vincitori reali che spesso non coincidono», ha chiosato Sara Gandolfi sul Corriere della Sera. Portano a casa un risultato politicamente positivo la Cina assieme ai Paesi in via di sviluppo, ma soprattutto i Paesi vulnerabili e più colpiti dagli impatti del cambiamento climatico. Trionfa l’ambiguità dei cinesi, che evitano di assumere impegni formali come donatori. Ma la grande sorpresa di questa Conferenza è stata la premier delle Barbados, Mia Mottley, che ha lanciato una proposta dirompente sulla riforma dei prestiti internazionali, spiegando come una tassa del 10% sui profitti delle grandi aziende produttrici di combustibili fossili contribuirebbe alla finanza per il clima con 37 miliardi di dollari.

Dopo tante critiche per la carente gestione dei negoziati, escono inoltre tra i vincitori l’Egitto e il presidente della Cop, Sameh Shoukry. Sono riusciti a portare a casa l’accordo sul “Fondo per le perdite e i danni” e quindi a farsi rappresentanti delle istanze dei Paesi più vulnerabili. Allo stesso tempo risultano vincitori anche per quanto riguarda la questione energetica e ciò ha fatto comodo all’altro gruppo che implicitamente esce vincitore: i produttori di gas e petrolio, come Arabia Saudita, Iran e Russia.

In ogni caso, rimane l’impegno a proseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 °C, senza tornare indietro su questo obbiettivo chiave.

Tra gli sconfitti rientrano invece l’inviato americano John Kerry, che a questa Cop ha incassato ben poco, e il vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmerma ns, che fino all’ultimo ha cercato, senza successo, di collegare il via libera al Fondo per le perdite e i danni a un maggiore sforzo riguardo ai tagli alle emissioni da parte di tutti, e non solo delle nazioni più industrializzate. Infine, il blocco occidentale composto da Unione europea, Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada esce sconfitto dalla contesa per includere la Cina tra i Paesi finanziatori, invece che tra i prenditori di contributi.

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