C inque fatti dell’ultima settimana sono una buona mappa della contemporaneità: il G20 a Bali, il voto di Midterm in America, la Cop27 a Sharm El Sheik, il fallimento della crypto-illusione di FTX; il ciclone di Elon Musk su Twitter. Seguitemi, facciamo un breve viaggio nei nostri anni Venti.

Durante il G20 a Bali abbiamo visto quanto sia pericolosa la guerra in Ucraina, l’incidente è sempre dietro l’angolo. La crisi dei missili in Polonia è stata risolta da Joe Biden, non a caso un uomo che ha vissuto gli anni della Guerra Fredda. Mentre Zelensky dichiarava che il missile era russo, Biden affermava che era una ricostruzione “improbabile” e così facendo escludeva l’attivazione del meccanismo dell’articolo 5 della Nato, evitando lo scivolamento del conflitto in Ucraina in una dimensione da guerra mondiale. Al tavolo del G20 c’era una sola donna premier, Giorgia Meloni. Il suo esordio internazionale tra i grandi è arrivato in uno di quei momenti in cui la Storia ruggisce e impone decisioni rapide. Meloni ha mostrato di avere una leadership naturale, la stoffa del capo di governo, è attesa da una prova enorme, in tempo di guerra, ma il suo inizio è ben più di una promessa.

I n mezzo, c’è la Russia, miniera del mondo, stazione globale del gas e del petrolio, potenza nucleare. Pensare a un nuovo ordine mondiale senza Mosca è impossibile, perché dopo Putin ci sarà sempre la Russia, così come accadde dopo la caduta dell’impero degli Zar e il crollo dell'Unione Sovietica. Dopo mesi di stallo diplomatico, qualcosa si muove: gli agenti della Cia e i russi si sono incontrati ad Ankara; Jake Sullivan, consigliere della Casa Bianca per la sicurezza nazionale, ha riaperto i canali di comunicazione con Mosca; l'amministrazione americana ha chiesto al presidente ucraino Volodymyr Zelensky di non dire più no a un tavolo con la Russia.

Che cosa è successo? Gli Stati Uniti non possono sostenere la guerra all’infinito e dopo il voto di Midterm (che apre una nuova stagione politica e consegna ai repubblicani il controllo della Camera), l’aiuto all'Ucraina sarà vincolato al raggiungimento di obiettivi certi. Dunque la Casa Bianca cerca una pace giusta per Kiev e un’uscita dalla guerra (senza una sconfitta) per Mosca. È un ritorno al realismo kissingeriano, la fine delle utopie, perché - parole di Mark Milley, Capo di Stato maggiore congiunto degli Stati Uniti - ci sono «poche probabilità che l’Ucraina possa respingere la Russia dall’intero territorio», ma ora ci sono buone chance per aprire un negoziato.

Il presente impone sfide inedite. Il cambiamento climatico è trattato con una visione ideologica che non aiuta a trovare soluzioni. A Sharm El Sheik è arrivato un accordo in extremis sull’istituzione di un fondo (ancora da definire) per destinare risorse ai Paesi più vulnerabili. Gli Stati Uniti (insieme alla Cina) erano il maggior ostacolo, ma anche con il via libera della Casa Bianca, i problemi restano, perché il dato politico è quello di una distanza enorme tra l’Occidente e il resto del mondo guidato da Cina e India. Con il dogmatismo climatico non si va lontano, gli obiettivi internazionali sono finora largamente mancati, quelli futuri sono molto incerti, le politiche di adattamento sono urgenti. La Convenzione dell’Onu sul Clima non può funzionare con questi meccanismi, con l’idea del “colpevole” (sempre l’Occidente, cioè noi), ha bisogno di essere ripensata per dare un contributo utile, efficace, immediato. Anche qui arriverà la stagione del realismo. Speriamo non troppo tardi.

Il regno della moneta. Non è quello delle cryptovalute. E in questo caso l’illusione sta sfiammando rapidamente. Il crollo di FTX, il bagno di sangue degli investitori, dovrebbe ricordare che il denaro non viene dal nulla. Il giovane Bankman-Fried, il fondatore, era considerato il Re Mida della criptovaluta, ma non basta esser considerati alter-qualcosa, aver studiato fisica al Mit, mettersi una felpa, per giocare con il denaro degli altri. Chi gli ha dato credito, ha perso credito. Anche qui, è giunto il momento del realismo.

L’altra grande storia da seguire è quella dell’ingresso di Elon Musk nel parco-giochi di Twitter. L’ha comprata per 44 miliardi di dollari e ha il diritto-dovere di farla funzionare come un’azienda. Ha eliminato lo smartworking, ha annunciato il licenziamento di metà dei dipendenti e visto che twittano allegramente dittatori e satrapi, ieri ha lanciato un referedum per il ritorno di Trump sul social-network. Non è una questione ludica, ma di business e libertà. Elon Musk è il carattere imprevisto, l’umano che smonta l’algoritmo del mainstream, l’asteroide su un mondo che negli ultimi dieci anni ha plasmato, manipolato, censurato il libero mercato delle imprese e delle idee. Tutti giù per terra.Abbiamo visto la grande sfida della geopolitica, le conseguenze del voto in America, l’-ismo climatico, la finanza no limits, il social network riportato sulla terra. Quale lezione dobbiamo trarre da questi cinque episodi? Che viviamo tempi interessanti. Forse troppo.

Direttore dell’Agi, fondatore di List

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