Q uando ero ragazzina volevo essere americana. Erano gli anni a cavallo fra gli ‘80 e i ‘90 e tutto quello che era dinamico, moderno, sexy e desiderabile era americano. Quando vivevo ancora in Italia la televisione che guardavamo a casa era americana, dal “Mio amico Arnold” a “Love Boat” e “Dallas”. Poi sono arrivati i ragazzi di “Beverly Hills”. Volevo vestirmi come loro. Volevo andare alla festa di fine anno scolastico. Essere una cheerleader con la minigonna e i pon pon. Avere quei capelli stranamente cotonati già alle scuole medie. Ascoltavo il rock americano dei Guns n’ Roses, Aerosmith e Metallica. E quando alla passione per il rock si è aggiunta la passione per la politica internazionale, ecco che cade il muro di Berlino. L’America non era solo il centro della cultura moderna, ma aveva anche vinto la guerra fredda. Aveva sconfitto l’Unione Sovietica come era ovvio che avrebbe fatto. Perché ovviamente tutti volevano essere americani. Perché mai no? Essere americani era il sogno. Ora, 30 anni dopo, sinceramente mi domando cosa sia successo. Non sto minimamente mettendo in dubbio il ruolo dell’Occidente, la sua importanza nell’ordine internazionale.

N on discuto nemmeno la moralità dei valori occidentali, per quanto a volte forse quest’ultimi li perdiamo un po’ di vista. Ma mentre prima gli Stati Uniti d’America erano un esempio da seguire, ora sembrano più un avvertimento. Il cosiddetto sogno americano, che dovrebbe essere ancorato nella meritocrazia, nasconde la realtà di una nazione con una delle più grande diseguaglianza di reddito di qualsiasi Paese sviluppato. Nel 2021, il 10% degli americani più ricchi possedevano il 70% della ricchezza del Paese. La metà della popolazione più povera invece ha in tasca un misero 2,5%. Visto così, il sogno americano sembra più una presa in giro che una ambizione. La diseguaglianza economica va di pari passo con la diseguaglianza di opportunità fra gruppi etnici. Le ferite ancora non rimarginate dell’eredità della schiavitù e i continui abusi da parte della polizia verso le comunità afro-americane, mostrano un Paese che sicuramente non ha fatto bene i conti con la sua storia. In questi giorni stiamo anche ascoltando le testimonianze fornite al Comitato ristretto della Camera che sta indagando sul tentativo di insurrezione a Capitol Hill il 6 gennaio 2021. Testimonianze che dipingono un Presidente Trump completamente inadatto a gestire una situazione che lui stesso è accusato di aver creato. E che fanno sorgere seri dubbi sulla salute che gode la democrazia americana in questo momento.Guardando oltre i confini nazionali, la ritirata Usa dall’Afghanistan dopo 20 anni di guerra, consegnando il Paese ai Talebani, era forse inevitabile. Ma la maniera in cui è stata gestita è stata vergognosa. E ovviamente ha fatto molto notizia (e non poco effetto) la decisione della Corte Suprema americana di togliere la garanzia all'aborto alle donne americane. La decisione ora spetta agli stati individuali, molti dei quali avevano già delle severissime leggi anti-aborto pronte a scattare, leggi che tolgono la scelta di terminare una gravidanza indesiderata a milioni di donne.Pochi temi sono controversi ed emotivi come quello dell’aborto, ma sicuramente anche chi si dichiara pro-vita e anti-aborto può cogliere l’ironia di leggi per salvaguardare la vita appena concepita in un Paese che rimane uno dei pochi al mondo senza congedo di maternità garantito, senza un sistema sanitario universale e con un tasso di mortalità materna fra i più alti nel mondo sviluppato. Se si vuole veramente aiutare la vita, la si potrebbe aiutare anche una volta che non è più in utero. L’America di oggi non fa neanche finta di essere più quella del nostro immaginario.Perciò, cosa vuol dire questo per noi in quanto italiani ed europei? Per anni, e sicuramente dal dopo guerra, gli Usa sono stati il simbolo del progresso, della pace, della democrazia. Ora tutto questo è in serio dubbio. Il Paese a capo dell’Occidente è spaccato e sta soffrendo. Non è detto che sarà sempre così. Speriamo di no. Ma nel frattempo, dovremo guardare altrove per una guida culturale e morale, per cercare di superare un momento che, anche da questa parte dell’Atlantico, non manca di complessità . Forse iniziando da noi stessi, senza bisogno di guardare altrove.

Giornalista a Londra

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