C osa vuoi fare da grande? Vuoi vivacchiare nel branco o mettere la testa un po’ più in alto degli altri, se ti riesce? Del Cagliari non abbiamo capito nulla, o quasi. Abbiamo intuito fra le braccia sempre in movimento di Liverani che c’è un progetto, un’idea, ma il sabato il piano d’azione resta - appunto - un’idea. Nelle conferenze stampa del dopo gara si rievoca spesso quella maledetta paura di non farcela o magari ci si stringe vicino all’imputato di turno, colpevole di aver commesso errori più o meno gravi. I giovani? Esportati. I gol? Pochi. Gli uomini dell’allenatore? Presi.

I tifosi? Meno del previsto, seppure la Unipol Domus faccia impressione quando la gente si fa sentire. Lo spettacolo? Ehm. La cattiveria agonistica? Ehm. La classifica? Ehm. Il modulo? Ehm. Pereiro a destra con l’ipotesi che potesse incidere? Come sopra.

Una passeggiata pomeridiana in tribuna consente di misurare con precisione la temperatura del tifoso. La gente è incavolata, perché si sente tradita. Perché non percepisce la strada, il percorso, perché non “vede”. Non sa cosa vuol fare da grande, questo Cagliari, bello quando viene ferito ma deficitario quando deve ferire. Vai in ritiro, prepari con la massima cura l’evento-partita, poi ti presenti in campo e tremi, sragioni, scivoli sulla più classica buccia di banana, il passaggio al portiere. Insomma, non batti un colpo.

Il centro sportivo di Assemini, un esempio di organizzazione e di cura dei dettagli dai giovanissimi alla prima squadra, è un fortino inaccessibile dove dovrebbe nascere la furia agonistica che ti fa riconquistare il cuore della gente rossoblù. Il ritiro, la vita in comune, l’allenamento e lo studio degli avversari, in un luogo incantevole. Una bambagia sportiva che però non si traduce in punti, perché alla fine - se vuoi diventare grande - è con i numeri che ti devi confrontare. E oggi non ci siamo, in casa o dall’altra parte del mare. Qual è il problema?

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