La settimana scorsa l’Europarlamento ha varato, con una maggioranza risicata, la legge sul “Ripristino della natura”, che in realtà non è altro che un regolamento comunitario per la salvaguardia dell’ambiente. L’approvazione, incerta fino all’ultimo, ha comportato un compromesso che ha sacrificato alcune ambizioni della proposta originaria. Sul piano politico, è andata in pezzi la coalizione di centrosinistra che regge la Commissione di Ursula von der Leyen. I Popolari di Manfred Weber infatti avevano stretto un’alleanza con le opposizioni di destra per far fallire il progetto.

M a le sinistre unite hanno sostenuto la proposta di legge presentata da Frans Timmermans, il commissario al Green Deal non molto stimato da vari governi europei per le sue posizioni ambientali radicali. Ora il testo approvato in Parlamento ritorna in Commissione ambiente per il negoziato finale con il Consiglio e la Commissione europea. Nella procedura legislativa dell’Unione, infatti, esiste il “trilogo”, cioè il negoziato informale tra rappresentanti di Parlamento, Consiglio e Commissione. Durante questi negoziati le tre istituzioni concordano orientamenti politici e bozze di emendamento riguardo alle proposte legislative presentate dalla Commissione. Lo scopo è fare in modo che il Parlamento e il Consiglio dell’Ue, con la mediazione della Commissione, raggiungano più rapidamente un accordo all’interno della procedura legislativa ordinaria. Dopo il successo ottenuto, Timmermans ha rilasciato una dichiarazione conciliante: «Ora chiedo di lavorare insieme sul contenuto della proposta e cambiarla laddove il Ppe non è contento. Cerchiamo tutti di tenere conto dell’enorme mobilitazione suscitata da Ong, migliaia di scienziati e più di mille imprenditori che si sono mobilizzati a favore della proposta di legge».

La legge si ripropone come obiettivo prioritario il recupero di almeno il 20% degli ecosistemi degradati europei: le istituzioni comunitarie valutano che non meno dell’80% degli habitat versi in cattive condizioni. Prima dell’entrata in vigore, tuttavia, la Commissione dovrà accertare la sostenibilità dei target in termini di sicurezza alimentare sul lungo periodo e gli Stati membri dovranno quantificare le aree da recuperare per ogni tipo di habitat. Infine, si prevede la possibilità di procrastinare gli obiettivi finali se si verificassero “circostanze eccezionali”.

Come la “questione democratica” nell’800 e la “questione sociale” nel ’900, ha scritto Antonio Polito, anche la “questione verde” si candida a diventare il nuovo grande discrimine tra destra e sinistra degli anni 2000. «Non avviene di frequente che il Parlamento europeo, di solito assemblea sonnacchiosa e non usa a dividersi sui grandi ideali, si spacchi in uno scontro all’ultimo voto sulla legge del “Ripristino della natura” (vaste programme, avrebbe chiosato De Gaulle)».

Che la transizione ecologica non fosse un pranzo di gala era dato per scontato. Sembra tuttavia fatta apposta per aprire divisioni nelle società opulente sulla base di interessi materiali e molto concreti, che un tempo si sarebbero detti “di classe”. «Da un lato i ceti urbani, dall’altro quelli rurali. Da un lato i nuovi lavoratori dell’economia immateriale e digitale, che vorrebbero un mondo più rispettoso della natura, dall’altro chi lavora con la terra, i trasporti, gli animali, e dalla natura trae il suo reddito». Ci sono insomma, conclude Polito, tutti gli elementi per il grande dramma sociale, del genere che mette contro generazioni e ceti e si trasforma in una “guerra culturale” tra progressisti e conservatori, tra rivoluzionari e reazionari. Stavolta ha vinto la sinistra in Parlamento, ma alle prossime europee la destra tenterà la rivincita nelle urne, «sfruttando il malcontento crescente soprattutto tra i contadini, i pescatori, i trasportatori, i proprietari di case, infastiditi dall’intromissione di un potere sovranazionale nelle loro vite quotidiane».

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