C ontinua, nonostante gli ultimi correttivi, la polemica attorno all’iter normativo sull’autonomia differenziata. Contrari restano (oltre all’opposizione) molti rappresentanti delle regioni meridionali. Dirimente è la questione dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni) ed i correlati costi e fabbisogni, ciò che la Costituzione -non a caso- chiede di determinare (assieme alla perequazione infrastrutturale) onde evitare che l’autonomia differenziata possa accentuare il divario tra nord e sud, isole comprese.

I n assenza di questi parametri occorrerebbe infatti rifarsi al criterio della spesa storica, il che darebbe alle regioni che chiedono nuove funzioni ancor maggiori risorse finanziarie.

Dato di fatto è che l’Italia, dopo più di 160 anni dalla sua unificazione, viaggia ancora a due velocità e le risorse del PNRR accentuano il divario, visto che vengono spese al centro-nord molto più di quanto avviene al centro-sud. Oggi, la definizione dei LEP è affidata ad una cabina di regia presieduta dal premier, il quale dovrà provvedervi a mezzo di opportuni dpcm, adottati previa concertazione tra i Ministeri competenti.

A questo punto viene però da chiedersi: cosa accadrà per le isole? La domanda non è banale visto che l'articolo 116 della Costituzione consente il regionalismo differenziato a patto che sia attuato “nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119” il quale, come è noto, contiene oggi il principio di insularità. Non solo, sia la Sardegna che la Sicilia, mediante iniziative proprie, hanno acquisito studi che, seppur sommariamente, individuano, in termini economici, i deficit insulari, cioè il costo che deriva dalla loro peculiare condizione. Sicilia e Sardegna hanno stimato questo gap in oltre 15 miliardi di euro annui. Questa stima è stata approvata dalla Commissione paritetica siciliana e quindi oggi vincola lo Stato italiano. Anche per la Sardegna, la stima, calcolata dall'istituto “Bruno Leoni” diretto da Alberto Mingardi, rappresenta una importante precondizione all’attuazione dell’autonomia differenziata delle altre regioni.

Nel frattempo, la legge di bilancio per il 2023 ha previsto l'istituzione di un fondo nazionale per il contrasto agli svantaggi derivanti dell'insularità suddiviso in due sezioni, una dedicata alla compensazione degli stessi, l'altra agli investimenti strategici. Sapete quanto è stato stanziato? Due milioni di euro per tre anni, ai quali si aggiungono i fondi destinati ai collegamenti aerei da e per Sicilia e Sardegna con un'ulteriore dotazione di 5 milioni di euro per il 2023 e15 milioni di euro a far data dal 2024; nulla in confronto ai 200 milioni stanziati a regime, nel 2021, per Sardegna e Sicilia. Possibile che con la (re)introduzione del principio di insularità in Costituzione vi siano meno risorse per le isole di prima?

L’attuale normativa prevede l'insediamento di una Commissione bicamerale per il contrasto agli svantaggi dell'insularità. Si impegneranno i parlamentari sardi a farne parte e difendere, con piglio bipartisan, gli interessi degli isolani?

Insomma, ad oggi, tanti auspici e buone intenzioni ma le risorse sono pochissime (quelle che ci sono vengono spesso dilapidate dal solito clientelismo) e la situazione non sembra affatto destinata a migliorare.

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