D ietro ogni data c’è un anniversario e dietro ogni ricorrenza una storia. Ogni giorno del calendario è dedicato a qualcuno o ad un fatto da celebrare per ricordare i passi dell’umanità nel corso dei tempi. Ciascun popolo ha le sue feste, eroi, martiri, guerre, vittorie, leggi, lingue, tradizioni e culture che nell’insieme fanno una nazione. Oggi si discute sul significato di nazione, diventato concetto divisivo anziché unificante.

C osì nel dibattito politico è sempre più in uso frequente la parola patria, prima considerata esclusiva della destra e ora sdoganata anche dalla sinistra che preferiva parlare di Paese, con la P maiuscola per distinguerlo da un centro abitato minore. In mezzo ai discorsi e agli articoli giornalistici compare il vocabolo stato, di solito minuscolo, per esprimere argomenti burocratici e politici. In sostanza vorrebbero dire tutti la stessa cosa, ma guai a sbagliare nel contesto e soprattutto riguardo al pubblico di riferimento. Il presidente Mattarella nei suoi interventi ufficiali adotta questi vocaboli con sapiente equilibrio invitando gli italiani alla coesione e alla condivisione, invocando tutti ad onorare il concetto di Patria così come disegnato dai padri costituenti a conclusione di un processo unitario che dalle guerre del Risorgimento, i due conflitti mondiali, la liberazione dal nazifascismo, ha portato alla nascita della Repubblica italiana.

Il diverbio linguistico è entrato tra i temi scottanti del dibattito intellettuale e politico, accendendo gli animi sugli anniversari, le festività e gli eventi che ormai ingolfano il calendario. Il problema, non nuovo negli ultimi anni, è riapparso in apertura della XIX legislatura al Senato quando la senatrice Liliana Segre ha parlato di festività che devono unire e non dividere. Alla quale il neo presidente del Senato Ignazio La Russa, ha rilanciato dicendo che alle tre date ricordate dall’on. Segre (il 25 aprile, il primo maggio e il 2 giugno) vorrebbe aggiungere la “data di nascita del Regno d’Italia che prima o poi dovrà assurgere a festa nazionale”. Proposta che ha avuto l’effetto di una bomba contro cui l’opposizione si è scatenata ricordando che “il 25 aprile è la festa della Liberazione, ma anche della Resistenza che a quella ha portato”. Replica di La Russa e del centrodestra compatto per ricordare che alla Resistenza parteciparono non solo le brigate comuniste, ma i partigiani di tutti i partiti del CNL, la brigata ebraica e cittadini comuni che a rischio della vita combatterono i nazisti a fianco degli alleati angloamericani.

Dalla Liberazione alla festa del lavoro e poi alla nascita della Repubblica italiana, in un calendario dove La Russa vorrebbe trovare posto anche per il 17 marzo del 1861. Sino a quella data il nome statale della nazione (Paese?) che si era andata formando durante il processo risorgimentale era Regno di Sardegna quando, con legge sarda numero 4671, fu cambiato in Regno d’Italia.

In seguito al risultato del referendum popolare del 2 giugno 1946, con la caduta della monarchia, nacque la Repubblica italiana. E qui sorge un quesito storico che contrasta con la proposta di La Russa. Il professor Francesco Cesare Casula, illustre accademico dell’università di Cagliari e del Centro Nazionale delle Ricerche, per oltre mezzo secolo si è battuto in ogni aula e convegno per rivendicare la primogenitura sarda della nostra nazione. Con orgoglioso quanto puntiglioso taglio scientifico basato sulla storia statuale fatta dai trattati e dalle leggi, Ca sula ha sempre sostenuto che la Repubblica ha origine dal Regno di Sardegna e non dal Regno d’Italia considerando che senza la nostra povera e negletta isola la Casa dei duchi di Savoia non avrebbe potuto beneficiare del titolo reale. Ma dove trovare una data per celebrare anche il Regno di Sardegna? Per esempio il 4 aprile 1297 quando Bonifacio VIII istituì con una bolla papale il Regno di “Sardegna e Corsica” dopo la guerra dei “Vespri siciliani”? Oppure il 19 giugno 1324 quando i Catalano-Aragonesi conquistarono gran parte dell’Isola ereditando titolo e nome, poi semplificato nel 1475 in Regno di Sardegna? Casula sarebbe finalmente soddisfatto. Ma visto come l’Isola è rappresentata numericamente nei due rami del parlamento e al governo, la proposta non verrebbe neppure presa in considerazione.

© Riproduzione riservata