S econdo le analisi previsionali diffuse dai principali istituti di ricerca del Paese (dal Cattaneo all’Eurispes e allo Iai), l’astensionismo alla consultazione elettorale del prossimo 25 settembre potrebbe raggiungere una percentuale fra il 33 e il 35 per cento del corpo elettorale. In aggiunta, le stesse stime indicherebbero come probabile un voto differente, per circa un terzo dell’elettorato, rispetto a quanto espresso nella consultazione del marzo 2018. A conferma di quanto siano stati travagliati e contrastatati, per i diversi schieramenti, gli ultimi quattro anni di legislatura.

Ora, riportando queste previsioni sulla nostra circoscrizione regionale, si potrebbe ritenere che gli astenuti nell’Isola raggiungerebbero i 550-570 mila (su un totale di 1.470.000), e che sarebbero più o meno in 350 mila a voler cambiare la destinazione del loro voto. Anche in questo caso si tratterebbe di un vero e proprio terremoto politico, a cui, peraltro, non sembrerebbero aver dato alcuna considerazione i partiti in lizza. Visto che sono fin qui apparsi sempre più chiusi in sé stessi e molto disattenti su quel che è accaduto, di nuovo e di diverso, al loro esterno. Quasi che quelle diverse migliaia di indecisi e perplessi (se disertare le urne o a chi dare il proprio voto) non fossero da recuperare e da conquistare.

L a conferma la si è ritrovata anche nella composizione delle candidature che, salvo rare eccezioni, hanno inteso privilegiare la blindatura dei loro apparati di regime (con in più qualche paracadutato esterno), con l’esclusione di nuovi innesti dalla società civile.

Queste analisi consentono, nella loro icasticità, di motivare alcune riflessioni. Che riguardano proprio l’evidente aumento sia dell’astensionismo che dell’infedeltà elettorale. Due fenomeni che paiono essere causa-effetto di una politica (i movimenti-partiti che la compongono) divenuta sempre più un corpo separato, oltre che estraneo, dalla realtà del Paese. Circostanza questa – va aggiunto – favorita da una pessima legge elettorale che annacqua e intorbidisce il concetto stesso di democrazia, sottraendo di fatto al popolo la scelta dei suoi rappresentanti.

Non ripeterò qui quanto su queste colonne hanno già scritto, efficacemente, Abramo Garau e Lorenzo Paolini, ma intenderei svolgere alcune considerazioni sul perché il 25 settembre bisognerebbe andare numerosi a votare in modo da riuscire a superare quel diaframma di sfiducia e di discredito che sembra dividere il demos, il popolo, dall’attuale preminenza dei partiti. D’altra parte, la degenerazione della democrazia in partitocrazia è ritenuta da molti esperti (Ilvo Diamanti, Gianfranco Pasquino, Lucio Caracciolo) la causa prima e scatenante di questa montante disaffezione elettorale. Con la motivazione, sempre più diffusa, che votare sia inutile, “tanto poi i partiti fanno quel che vogliono”. Ed è proprio su questo che occorre riflettere.

Per la verità, accade troppo spesso che i partiti paiono pochissimo disposti a farsi carico di quel che chiede la gente e rimangono inchiodati a slogan demagogici o formule rituali, più che entrare nel merito di quel che occorre. La stessa campagna elettorale appare una litigata quotidiana su chi offre i vantaggi maggiori: io ti do questo, allora io rilancio, dandoti di più. Gli esempi sono tantissimi, con le promesse di regali e tutele assai mirabolanti ed improbabili, ignorando che è giunto al termine il tempo dell’abbondanza spensierata e dell’allegra finanza pubblica. Certo, non è che ci attendano soltanto giorni di rinunce e sacrifici, ma un po’ di temperanza e continenza nella demagogia pre-elettorale non farebbe male, anche perché i conti dello Stato sono sempre più di un pesante rosso.

Ecco perché si ritiene che occorra “andare oltre”, come cantavano i pacifisti Usa al tempo del Vietnam, ed esprimere un voto “responsabile” che proponga e sostenga una svolta riformatrice e favorisca un’alleanza parlamentare tra quelle forze che collocano il futuro del Paese in una chiara prospettiva di ripresa e di progresso. Ed è questo, purtroppo, solo un augurio, più che una previsione.

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