U na certezza: il Cagliari di gennaio e febbraio, vincente quanto bastava per sognare una salvezza in carrozza, non si sarebbe dovuto ritrovare in questo pantano. Uno scenario drammatico, incerto, con un piede in Serie A e uno in B, aggrappati a un gol strappalacrime di Altare ma anche alla speranza che gli altri possano scivolare. Da Salerno, forse la partita più delicata degli ultimi anni, si torna a casa con un pareggio che non sposta gli equilibri, ma ti consente di stare “in vita”, di cercare contro l’Inter un’impresa di quelle da raccontare per il resto dei tuoi giorni. La bellezza del calcio, il cinismo dei numeri, la passione senza confini: dentro i 100 minuti di Salernitana-Cagliari abbiamo vissuto tutto questo, compresi i limiti di una squadra frastornata anche dal recente, velenoso esonero di Mazzarri, mentre dall’altra parte è piombata la paura di vincere, anche – parliamo dei padroni di casa – perché compressi dentro tre partite della vita in sei giorni.

Il cuore del tifoso rossoblù, messo a dura prova poche volte come in queste settimane, ha vissuto momenti complessi nella volata dell’Arechi, fra spallate, cadute, rigori solari e cancellati. Con il Cagliari che si è sentito come quello che vince al Superenalotto e perde il biglietto per un colpo di vento. Il calcio è stato trasformato dalla tecnologia, una serie di telecamere che ha tolto quel pizzico di umanità (il rigore era stato assegnato dall’arbitro Di Bello), facendo però guadagnare al circo del pallone maggiore credibilità e precisione.

Il campionato non è finito grazie a una reazione di cuore – tardiva, forse inutile, ma c’è stata – che il Cagliari ha gettato sul campo, trasformando una sconfitta da funerale in un pareggio epico, per come è arrivato. La prima in serie A di Agostini, devastato dalla tensione in panchina, è stata un concentrato di emozioni da mettere paura, come passare da un teatro di provincia alla Scala. Ma il lavoro sulla testa della squadra ha dato i suoi frutti, se per almeno un’ora il Cagliari ha tenuto il campo molto bene, in mezzo a catino ribollente.

Ci sono speranze? Sì, perché la squadra rossoblù non ha mostrato quella brutta faccia vista con Spezia e Udinese, per esempio, ma ha giocato con ordine, perfino freddezza, salvo poi disintegrare il piano tattico dopo il vantaggio di Verdi.

Ci sono speranze? Sì, perché il Cagliari ha fermato un’emorragia da brividi, una serie di sconfitte che ha condotto la Sardegna del calcio sulla porta della retrocessione. E le speranze ci sono anche per l’amore dei tifosi, quello mostrato dai trecento di Salerno e quello che respireremo domenica sera, alla Unipol Domus, quando la belva da domare si chiamerà Inter e in testa avrà solo un risultato, la vittoria. Non è finita grazie alla testa di Altare, uno che non molla mai, sorprendente lottatore su ogni palla, operaio specializzato in marcature asfissianti. Sarà una settimana da vivere minuto per minuto, le ore 20.45 di domenica si avvicinano.

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