T anti passeggeri, poco personale. Le difficoltà estive del trasporto aereo – vissute ogni giorno, nel loro piccolo, da migliaia di viaggiatori sardi – somigliano a quelle rappresentate nelle scorse settimane dalle imprese alla disperata ricerca di cuochi e camerieri per affrontare la stagione turistica.

Nel cuore della pandemia molte compagnie hanno licenziato i dipendenti e ora si sono accorte che non è così semplice riassumerli. Altre invece hanno scelto di rinunciarci. È il caso di EasyJet, che nel Regno Unito ha mandato a casa centinaia di hostess e steward. E pur di fare a meno di loro ha deciso di cancellare una fila di poltroncine sugli aerei. Un po’ come tagliarsi un piede per risparmiare sull’acquisto delle scarpe.

Qualcosa deve essere però sfuggito ai manager, se è vero che la compagnia low cost in questi giorni sta eliminando decine di voli nel Regno Unito e gli equipaggi con base in Spagna hanno annunciato nove giornate di sciopero a luglio. Gli effetti si sentono e si sentiranno nelle prossime settimane anche a queste latitudini, per il principio del battito d’ali di farfalla che riesce a provocare un uragano dall’altra parte del mondo.

F iguriamoci quello che succede dietro casa nostra. Infatti gli unici disagi registrati in Italia nello scorso weekend sono stati causati proprio dalle proteste programmate negli altri Paesi.

Cosa sta succedendo? Come sempre è una questione di soldi. I sindacati da tempo denunciano stipendi da fame e turni impossibili per gli equipaggi di tutte le compagnie a basso costo, nessuna esclusa. Perché la ricchezza e i privilegi di un tempo, le giornate di riposo a bordo piscina in alberghi di lusso e gli stipendi da 10mila euro vivono ormai solo nei racconti dei vecchi piloti in pensione. La realtà dei giorni nostri è ben diversa.

Ora il personale di volo in una low cost guadagna circa 1.400 euro al mese, a cui si aggiunge una parte variabile legata alle ore trascorse in aereo. Più o meno come un qualsiasi impiegato, ma con turni e condizioni di lavoro che si fanno ogni anno più pesanti. Soprattutto adesso che le compagnie cercano di recuperare nel minor tempo possibile i ricavi persi per strada degli anni messi in pausa dal Covid. In cui secondo la Iata (l’associazione che raccoglie tutte le compagnie mondiali) il settore ha perso 190 miliardi di dollari.

Insomma: i soldi a disposizione sono pochi e di conseguenza i contratti offerti non sono così allettanti. Il risultato è che le aziende di trasporto aereo non riescono a riassumere i lavoratori con la stessa velocità usata per licenziarli. Proprio nel momento in cui il loro motore deve andare a pieno regime. Il rischio di andare fuori giri è altissimo e le spie d’allarme si accendono tutti i giorni sui tabelloni degli aeroporti. Dove i voli cancellati o in ritardo spesso superano quelli regolari.

Anche in Sardegna. Anzi: soprattutto negli scali sardi, alle prese con le prime fiammate di un’estate che fa ben sperare dal punto di vista degli arrivi turistici. Le previsioni dicono che si potrebbe addirittura far meglio del 2019. Risultato che le compagnie vogliono raggiungere a tutti i costi. Anche lasciando a terra i passeggeri o facendoli aspettare ore sulle poltroncine degli aeroporti. Dove ormai si trascorre buona parte del viaggio: per un Cagliari-Roma, 50 minuti scarsi di volo, tra file ai controlli di sicurezza e attese pre-decollo servono almeno tre ore. Tempo che ogni viaggiatore sardo deve investire – per non dire altro – in nome del ritardo più fastidioso: quello legato all’insularità.

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