L e istituzioni europee non sono mai state così importanti. Se ne dedurrebbe pertanto che anche le elezioni europee non siano mai state tanto importanti come quelle che si terranno il prossimo giugno. Eppure ai cittadini europei è stato detto, in termini più o meno espliciti, che non faranno la minima differenza. Un anno fa, dopo la sua vittoria in Italia, Meloni sembrava convinta della possibilità di un cambio di maggioranza a Bruxelles: anziché la solita coalizione fra popolari e socialisti, Meloni scommetteva su una coalizione diversa, che vedesse alleati, come in Italia, popolari e conservatori.

Q uesta ipotesi è stata esplicitamente esclusa da esponenti del PPE. Anche la posizione di Ursula von der Leyen sembra sufficientemente sicura del suo futuro personale, al punto da commissionare (a Mario Draghi e a Enrico Letta in una curiosa competizione) rapporti sul futuro dell'Unione. Non ci sarebbe da stupirsi. Tradizionalmente, le elezioni europee sono, nei diversi Paesi, dei sondaggi sul governo in carica. Pensate solo alle ultime. Ne uscì vincitore Matteo Salvini, con la Lega al 30%, surclassando il Movimento Cinque Stelle, allora suo partner di governo. Era l'equivalente di un'indagine demoscopica. Incerti sul governo gialloverde, gli italiani premiarono la componente che, fra le due, sembrava più affidabile. Salvini s'illuse di avere chissà che carte in mano e tentò un'operazione per tornare alle urne, sventata dal Presidente Mattarella. Prima il lettore ricorderà il 40% ottenuto dal Pd di Renzi. Quest’ultimo lo rivendica tutt'oggi come il miglior risultato ottenuto da quel partito. Fu un voto in larga misura di simpatia, per un leader giovane e nuovo, espresso da persone che mai avrebbero scelto il Pd alle politiche.

Gli elettori votano sulla base della domanda che viene loro posta, esplicitamente o implicitamente. Quando scelgono il sindaco, viene loro chiesto chi debba governare la loro città. Quando votano per Camera e Senato, pensano a chi dovrà comandare in tutto il Paese. Alle europee, il quesito cui tentano di dare risposta sembra essere più o meno: chi ti è più simpatico?

Un dibattito politico europeo tutt’oggi non esiste e l’agenda europea, che invece c’è e pesa sempre di più sulla vita di tutti, è in buona sostanza sottratta al Parlamento europeo e alla politica. La stessa Giorgia Meloni oggi ha estratto dalla manica la carta del premierato. Per Giorgia funziona per avere una bandierina da sventolare in vista delle europee e cercare di compattare i consensi. Matteo Salvini, forte della sua posizione di ministro delle infrastrutture, probabilmente farà qualcosa di simile posando la prima pietra del Ponte di Messina ad aprile o maggio. E senz’altro Elly Schlein troverà, di qui a primavera, una qualche nuova battaglia identitaria da cavalcare.

E l'Europa? L’esperienza storica suggerisce che la democrazia di massa è un gioco per persone che parlano tutte la stessa lingua o leggono gli stessi giornali o guardano le stesse televisioni. Se non fosse che oggi l’Unione europea conta sempre di più nella vita di quelle persone. Von der Leyen, con una spericolatezza senza precedenti, ha di molto allargato l'influenza della commissione. Non sta scritto da nessuna parte, nei trattati, che questa per esempio faccia politica internazionale. Sta agli Stati sovrani decidere delle loro alleanze. Negli scorsi venti mesi, non è stato così. Questa commissione europea ha inoltre per la prima volta fatto debito europeo, col Pnrr, e soprattutto deciso tutta una serie di norme, con la transizione verde, che cambieranno la vita quotidiana di milioni di persone. Varrebbe la pena che gli elettori potessero discuterne, ma non a vverrà. E dal voto di giugno noi avremo di nuovo un’Europa divaricata: la democrazia come maschera e poi la realtà di poteri europei impenetrabili a qualsiasi stimolo elettorale. Materia per tenere vive le braci dell’euroscetticismo.

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