Il regime di Teheran reprime nel sangue le proteste scoppiate dopo la morte di Mahsa Amini, la 22enne curda deceduta dopo l’arresto per non aver indossato correttamente l’hijab.

I disordini e le manifestazioni devono essere affrontati “con durezza”, aveva detto il presidente ultraconservatore Ebrahim Raisi, promettendo il pugno di ferro con i “rivoltosi che disturbano l’ordine e la sicurezza e dunque vanno fermati”.

Detto fatto, ed è molto alto il costo di vite umane.

Secondo Teheran sono 35 le persone che hanno perso la vita dopo una settimane di cortei, raduni e barricate, mentre Ong e fonti dell'opposizione hanno fornito un'altra versione dei fatti, denunciando almeno 50 morti e centinaia di feriti. Tra le vittime, secondo Amnesty International, si contano anche quattro bambini

Impressionanti anche gli arresti di massa, nella sola provincia di Guilan sono stati fermati “739 rivoltosi, tra cui 60 donne”.

Ovviamente Teheran non esclude lo zampino degli Occidentali: il ministro dell'Interno, Ahmad Vahidi, è infatti convinto che i manifestanti stiano “seguendo gli Stati Uniti e i Paesi europei e i controrivoluzionari con il fine di creare disordine e distruzione”, aggiungendo che il bando a Internet, a Whatsapp e Instagram proseguirà fino alla fine delle proteste.

Ma la repressione del regime teocratico non scoraggia i dimostranti, in particolare gli studenti di diverse università, tra cui quella di Teheran, che hanno continuato a radunarsi anche oggi.

LA MORTE DELLA RAGAZZA

Ancora buio invece sulle cause della morte di Mahsa Amini. Vahidi ha detto di escludere da parte sua il pestaggio da parte della polizia, dicendo di “attendere il rapporto finale del team medico”, che esegue l'autopsia. “Sono state ricevute segnalazioni dai servizi di sorveglianza, sono stati interrogati i testimoni, sono stati rivisti i video, sono stati ottenuti i pareri dei medici forensi ed è stato accertato che non vi sono state percosse” sulla giovane donna.

(Unioneonline/L)

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