Donald Trump ci riprova, e malgrado la profonda delusione di recente manifestata per il comportamento belligerante tenuto dal Capo del Cremlino dopo il primo incontro in Alaska, per quanto si possa apprendere dai media, non ha mancato, da ultimo, di rinnovargli la propria fiducia per il buon esito della complessa trattativa di pace. L'Ungheria, quale location privilegiata scelta proprio dallo stesso Donald Trump per la circostanza, e per essa Viktor Orban, e non a caso, sarà quindi chiamata/o a garantire che il Presidente russo Vladimir Putin possa fare il suo ingresso nel territorio ungherese, e quindi di fatto europeo, in occasione del vertice, senza subire gli effetti del mandato di arresto europeo ancora pendente a suo carico.

Ma, sul piano politico e diplomatico, cosa significa esattamente tutto questo? Grande assente l’Ucraina, pur essendo parte direttamente coinvolta nel conflitto, quindi direttamente interessata a discutere le condizioni del cessate il fuoco. Stavolta, non si è assistito neppure ad alcuna internazionalizzazione del conflitto (né altrimenti avrebbe potuto essere) diversamente da quanto accaduto nel contesto medio-orientale: solo (si fa per dire) trattativa diretta tra i “due maggiori esponenti dei contrapposti emisferi della Terra”, tra i maggiori rappresentanti dell’Est e dell’Ovest del Mondo.

E quando Est e Ovest decidono di incontrarsi, la Terra di Mezzo (se si voglia accogliere siffatta espressione), il cosiddetto Vecchio Continente, parrebbe restarne quasi compresso, relegato ai margini della storia perdendo, di fatto, il suo ruolo di mediatore strategico. La circostanza che Zelensky, a seguito della interlocuzione via filo invenuta “alla pari” (questa l’impressione che sembra possibile ritrarsi) tra il Presidente russo e quello americano, non abbia ottenuto i missili tomahawk dall’America, probabilmente, annuncia quello che potrebbe essere l’epilogo della vicenda.

Soprattutto allorquando inizi a farsi sempre più insistente la tendenza/esigenza di stemperare al ribasso l’escalation di un conflitto dai contorni fin troppo frastagliati per le sue molteplici implicazioni di carattere strategico e logistico. Ebbene. Laddove non si fosse capito, scegliere l’Ungheria (la quale notoriamente si è sempre detta contraria all’elevazione delle sanzioni in danno alla Russia) quale terreno confacente per lo svolgimento di una trattativa tra Donald Trump e Vladimir Putin, potrebbe, con buona verosimiglianza, riflettere il sottile disappunto verso quella che finora è stata la strategia europea nella gestione dell’intera vicenda. E sempre con buona verosimiglianza, la cosiddetta “pace giusta”, sempre che la locuzione possa in astratto ritenersi ammissibile nel suo significato, sembrerebbe restare allo stato di pallida aspirazione, se solo si voglia considerare che, necessariamente, ove venga raggiunta una intesa concreta tra i due Presidenti protagonisti del prossimo incontro a Budapest, quest’ultima dovrà concernere non solo un preliminare “cessate il fuoco”, ma anche un dialogo fattivo rispetto a quella che sarà la potenziale cessione di territori (e Putin sembrerebbe aver già chiesto a Trump che Kiev ceda l’intero Donetsk), la conseguente ricostruzione, il controllo dei confini, quali essi saranno all’esito della prossima trattativa. Sempre che la stessa sortisca un qualche effetto che probabilmente non sarà soddisfacente per tutti. Soprattutto per l’Unione Europea e per i suoi Paesi Membri che nel costruendo equilibrio geopolitico resta e restano esclusa ed esclusi dall’elaborazione di ogni decisione rilevante. Questo perlomeno ciò che appare.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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