La caduta era prevista, ma quello del governo Bayrou è stato un crollo. Sono mancati all'appello quasi 20 voti dello "zoccolo comune", i componenti della coalizione di maggioranza.

Il premier chiedeva la fiducia sul suo progetto di finanziaria con 44 miliardi di euro di tagli, due giorni festivi in meno e conferma dell'odiata riforma delle pensioni. Uno tsunami di no lo ha travolto, 364 contro i 194 sì. E adesso, come ha subito commentato il tribuno della sinistra più radicale, Jean-Luc Mélenchon, «in prima linea c'è Macron davanti al popolo. E anche lui deve andare a casa». In tutti gli interventi delle opposizioni in Parlamento, è risuonato il nome di Macron come quello del vero colpevole della crisi e di questo nuovo "salto nel buio" del Paese.

Che è arrivato al quarto primo ministro in un anno e mezzo, il terzo dalle elezioni anticipate (e perse) dalla maggioranza lo scorso luglio. Una novità assoluta per la Quinta Repubblica, nata anche inseguendo la stella polare della stabilità e finita sessant'anni dopo nel suo esatto contrario. Il presidente, stavolta, di fronte alla sinistra radicale che domani presenta una mozione di destituzione, al Rassemblement National, favorito dai sondaggi per le elezioni che gli intima di sciogliere il Parlamento e convocare nuove elezioni, prende tempo.

Niente decisioni, né dichiarazioni avventate, il terreno stavolta è minato e il capo dell'Eliseo "prende atto" della decisione sovrana del Parlamento. E dà appuntamento domani mattina a Bayrou, che rassegnerà le dimissioni, e ai «prossimi giorni» per la nomina di un primo ministro. In Parlamento, sono stati duri i socialisti, ai quali Macron aveva nei giorni scorsi guardato con interesse, arrivando a ordinare ai suoi ministri di "lavorare" con il PS: «Siamo pronti al governo - ha detto in aula il capogruppo Boris Vallaud - che il presidente venga da noi».

Al momento, nel progetto PS, manca la sostanza, cioè i voti: i socialisti ripetono di non voler governare con i macroniani ma di puntare a guidare un governo unicamente di gauche. Resta da capire come potrebbero i macroniani votare per un governo che li esclude, con i Républicains che hanno rilanciato lo slogan, «noi sempre all'opposizione con un governo di gauche». Proprio nella destra moderata, il capogruppo Républicains Laurent Wauquiez è stato uno dei meno duri con Bayrou, annunciando fra l'altro io suo voto "non entusiasta" per il governo. Alla fine, 27 deputati Républicains su 49 hanno votato la fiducia.

Insieme con i socialisti, restano i soli gruppi politici con i quali l'attuale coalizione di maggioranza può dialogare. Nel giorno del muro contro muro e del crollo del governo guidato da un premier che non ha neppure provato a negoziare il suo progetto di finanziaria, è arrivato uno spiraglio di dialogo dall'ex premier, e oggi capo del partito macroniano Renaissance, Gabriel Attal. Prima ancora di un premier, ha chiesto a Macron la nomina di un "negoziatore" per arrivare ad un «accordo di interesse generale» tra «le forze repubblicane»: la novità assoluta in questa fase della storia francese, è quella di cercare un accordo ancora prima di scegliere un primo ministro.

«Io - ha detto Attal - non propongo né un patto di governo, né un contratto di coalizione. Quello che propongo, è un accordo di interesse generale affinché i 18 mesi che abbiamo davanti siano utili e non siano quelli dei blocchi a ripetizione e dell'impotenza pubblica». Dai banchi della maggioranza, Attal ha invocato una "cultura del compromesso" oggi dimenticata dalla politica francese. In concreto, il "negoziatore" non dovrebbe essere poi il futuro primo ministro, ma sarebbe incaricato di riunire da domani e per alcune settimane tutti i capi dei partiti rappresentati in Parlamento per trovare un «compromesso sul bilancio». Il futuro premier sarebbe poi «il garante di tale accordo».

Un tecnico? Per Attal si tratterebbe di una personalità del mondo politico o sindacale, una figura «consensuale capace con il suo nome di riunire attorno al tavolo i leader politici». Sarebbe un accordo temporaneo, che darebbe vita successivamente a una sorta di "governo di scopo" la cui missione principale e più urgente sarebbe «quella di arrivare a un bilancio per il 2026». A Parigi, dopo lo tsunami che ha travolto Bayrou, si parla molto del "negoziatore", con alcuni fra gli analisti più popolari d'accordo: «Non dovrà far parte della coalizione che sorreggeva il governo appena caduto». E, intanto, il Paese resta alla finestra mentre mercoledì è prevista l'attesa manifestazione 'Blocchiamo tutto', movimento nato in rete e già ribattezzato come i nuovi gilet gialli. Una manifestazione di protesta dai contorni tutti da scoprire che preoccupa la sicurezza. Il ministro dell'Interno ha già previsto uno schieramento monstre, con 80mila agenti che «non tollereranno nessun blocco».

(Unioneonline)

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