Divergenze, tra i grandi della Terra, su come reagire alle provocazioni della Corea del Nord, dopo i continui test missilistici e alla luce dell'ultimo lancio, nel quale è stato testato un razzo intercontinentale in grado di arrivare all'Alaska e dunque al territorio degli Stati Uniti.

Proprio gli Usa hanno fatto pressioni, in particolare sulla Cina, affinché la comunità internazionale dia una risposta il più possibile dura ed efficace.

E Washington si è detta pronta "a usare qualsiasi mezzo", incluso l'intervento militare, per far abbassare la testa al regime di Kim Jong-un.

Di diverso avviso, però, Pechino e la Russia.

L'ambasciatore cinese alle Nazioni unite, Liu Jieyi, pur definendo i test di Pyongyang "inaccettabili", si è limitato a chiedere "moderazione", sollecitando a "evitare azioni provocatorie, retorica belligerante" e "dimostrando la volontà di dialogo incondizionato".

Inoltre, la Cina ha chiesto lo stop al dispiegamento del sistema di difesa antimissile Thaad americano in Corea del Sud.

Toni spuntati anche dalla Russia, secondo cui "la possibilità di intraprendere misure militari per risolvere i problemi legati alla penisola coreana dovrebbe essere esclusa".

Più che la forza, ha detto il portavoce del Cremlino all'Onu Vladimir Safronkov, "esprimiamo il nostro appoggio all'idea che Nord e Sud Corea si impegnino in dialogo e consultazioni".

Poco, troppo poco, per l'amministrazione Trump, che vorrebbe, invece, un intervento risolutivo.

(Redazione Online/l.f.)

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