La Camera dei Comuni prima e quella dei Lords poi intimano a Boris Johnson di chiedere un nuovo rinvio della Brexit e approvano la legge anti no-deal per scongiurare il divorzio senza accordo che scatterebbe il 31 ottobre.

Il premier, sconfitto in Parlamento e senza più maggioranza, si appella al popolo e lancia la sfida delle elezioni anticipate, con l'obiettivo di convocare le urne per il 15 ottobre e - in caso di vittoria - portare a termine il suo piano.

Ma la Camera fa muro, respinge la sua mozione per lo scioglimento ed è decisa a spostare più in là le elezioni, forse a novembre.

Ennesimo colpo di scena in Gran Bretagna, ennesimo premier messo in difficoltà da un divorzio sempre più complicato.

Johnson, indebolito dagli ultimi eventi, va all'attacco contro una proroga definita "priva di senso", una legge anti no deal definita una "resa a Bruxelles", e una Camera che "tradisce il referendum popolare del 2016".

Con cadute di stile che gli sono costate forti critiche, come l'aver definito il leader laburista Jeremy Corby una "femminuccia".

"Il premier - è stata la dura ma pacata reazione di Corbyn - non può accusarci di sabotare un negoziato con l'Ue che non esiste". Il voto a ottobre? "Una mossa cinica di un premier cinico".

Nuovo rinvio all'orizzonte, dunque, anche se la situazione è surreale. Non si capisce, infatti, come si possa costringere Johnson - che ripete di voler portare il Regno Unito fuori dalla Ue il 31 ottobre "senza se e senza ma" - a negoziare per legge il rinvio della Brexit.

(Unioneonline/L)
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