In Australia la conoscevano in molti, perché aveva prestato il suo volto alla pubblicità di un noto marchio di cappelli australiano.

Così quando è emersa la notizia che Amy "Dolly" Everett si è tolta la vita a 14 anni per aver subito gravi atti di bullismo sul web, la notizia ha destato ancora più scalpore perché era stata proprio la sua fama prematura a renderla oggetto di insulti e denigrazioni.

È stato il padre dell'adolescente, Tick Everett, a rendere noto il suicidio della figlia, avvenuto il 3 gennaio, con un post su Facebook.

Quello che è successo, ha scritto, "è l'esempio di come i social non vanno utilizzati". Eppure, promette, la morte di Amy non sarà avvenuta invano.

La famiglia ha lanciato la campagna #stopbullyingnow, che si è diffusa rapidamente sui social "nel mondo in cui il web andrebbe sfruttato".

"Se possiamo aiutare altre vite preziose per allontanarle dallo smarrimento e dalla sofferenza, allora la vita di Doll non sarà sprecata", ha scritto il papà su Facebook.

"Voglio dire - ha aggiunto - a chi ha pensato fosse solo un gioco oppure si è sentito in qualche modo superiore bullizzando una ragazza: venite ai funerali e guardate la grande devastazione che avete lasciato dietro di voi".

Anche la compagnia per la quale Dolly aveva lavorato si è detta "sconvolta e angosciata dalla sua morte". "Pensare che qualcuno possa sentirsi così sopraffatto e possa arrivare a credere che la sua unica opzione sia il suicidio, è indecifrabile. Il bullismo, di qualsiasi tipo, è inaccettabile. Sta a noi alzarci in piedi e intervenire quando vediamo questo genere di comportamenti".

(Unioneonline/D)

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