Tra le persone del commando terroristico che eseguì materialmente la strage della stazione di Bologna il 2 agosto 1980 «vi era senza ombra di dubbio alcuno» Paolo Bellini, la cui presenza in stazione al momento dell'attentato «era finalizzata o a trasportare, consegnare e collocare quantomeno parte dell'esplosivo» oppure a fornire un supporto materiale all'azione «nella piena consapevolezza» che nella sala di aspetto sarebbe stato collocato l'ordigno che uccise 85 persone, tra cui tre donne sarde: Lidia Olla, Maria Fresu (al centro di quello che secondo alcuni sarebbe un “mistero”) e la sua figlioletta Angela, di appena tre anni.

Così la Corte di assise di appello di Bologna identifica il ruolo nella strage dell'ex Avanguardia Nazionale per cui l'8 luglio è stato confermato l'ergastolo.

Bellini, imputato a oltre 40 anni di distanza dai fatti, è ritenuto esecutore materiale in concorso con gli ex Nar condannati in via definitiva (Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini), con Gilberto Cavallini (ergastolo in appello) e con Licio Gelli, Federico Umberto D'Amato, Mario Tedeschi e Umberto Ortolani, ritenuti mandanti, finanziatori e organizzatori, ma tutti indagati quando erano già deceduti.

«Senza ombra di dubbio alcuno», ribadisce la Corte (presidente Alberto Pederiali, consigliere estensore Domenico Stigliano) in un altro passaggio delle oltre 420 pagine di motivazione, Paolo Bellini «sapeva perfettamente che il suo contributo (costituito o dal trasporto e dalla consegna - di tutto o di parte - dell'esplosivo - oppure di supporto logistico a coloro che l'esplosivo lo hanno portato e collocato) è stato non solo 'agevolativo' ma addirittura determinante ed essenziale nella realizzazione, a nulla rilevando la consapevolezza di questi ultimi dell'apporto contributivo ricevuto da parte di Bellini».

Il video della turista

Nel caso di Bellini, secondo i giudici della Corte d'Assise d'Appello di Bologna, «non si è in presenza di un alibi semplicemente 'fallito', ma di un alibi appositamente preordinato ed apparentemente solidissimo e granitico in quanto egli, diverse ore prima della strage, si è fatto consegnare da terze persone lontane da Bologna una bambina (la nipote Daniela, ndr) con la quale si è poi fatto vedere da altre persone dopo la strage ancora lontano da Bologna, alibi rivelatosi falso soprattutto per una circostanza assolutamente fortuita e imprevedibile, vale a dire un video girato da un turista straniero per ricordo famigliare».

Il video, un filmato girato in Super 8 dal tedesco Harald Polzer, è divenuto noto agli inquirenti, spiega la Corte, «solo ed esclusivamente perché - diverso tempo dopo la strage - il turista straniero capì la possibile importanza dello stesso filmato». Risulta infatti «provato, senza ombra di dubbio, che l'anonimo ritenuto essere Paolo Bellini è stato ripreso da Polzer da bordo del treno pochi minuti dopo l'esplosione (avvenuta alle 10.25, ndr) e comunque sicuramente diverso tempo prima delle 11.05, ovvero prima che le carrozze non danneggiate dall'esplosione venissero rimosse anche per consentire i soccorsi sul secondo e terzo binario». Dal video Polzer e dal riconoscimento fatto dall'ex moglie di Bellini, Maurizia Bonini, della persona ritratta in tale video sul primo binario della stazione, è quindi «provato - ribadiscono i giudici - che Paolo Bellini era alla stazione di Bologna pochi minuti prima e pochi minuti dopo la micidiale esplosione». 

Il ruolo di Licio Gelli

Quanto al ruolo di Licio Gelli, il “Maestro venerabile” della loggia massonica P2, lui «il consapevole finanziatore della strage di Bologna e tale circostanza spiega il movente dell'attività calunniosa e depistatoria da lui posta in essere, unitamente ad alti funzionari dello Stato, proprio in relazione alla strage di Bologna».

Gelli, il potente capo dell'Ufficio Affari Riservati del Viminale Federico Umberto D'Amato, l'imprenditore Umberto Ortolani e il giornalista Mario Tedeschi, tutti morti e non più imputabili, sono ritenuti in ogni modo i mandanti, finanziatori e organizzatori dell'attentato. I giudici ricordano quindi che Gelli, insieme a Pietro Musumeci, Giuseppe Belmonte e Francesco Pazienza, è stato condannato in via definitiva per il reato di calunnia in relazione all'opera di depistaggio sulle indagini della strage, «depistaggio che aveva il preciso fine di evitare che le indagini potessero svelare il suo personale coinvolgimento, oltre il coinvolgimento di altissimi funzionari dello Stato, nella strage».

(Unioneonline)

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