Va trattato come infortunio sul lavoro il caso di un medico morto di Covid a Firenze. 

Lo ha stabilito il tribunale di Firenze. A fare causa è stata la figlia della vittima, uccisa dal virus che aveva contratto perché andava a visitare i pazienti positivi.

L'assicurazione ha negato il risarcimento ma la donna, assistita dall'avvocato fiorentino Jacopo Pepi, si è rivolta al tribunale che ha riconosciuto il decesso come infortunio sul lavoro e condannato la compagnia assicurativa a risarcire 130.000 euro, di cui 125.000 a titolo di indennizzo e 5.000 come penale per il ritardo nella liquidazione.

LA VICENDA – Secondo quanto riportato dal Tirreno di Firenze, il medico è morto nei giorni più caldi della pandemia nel 2020: aveva contratto l'infezione mentre assisteva pazienti ricoverati in una Rsa del nord Italia. Visitava anche i suoi pazienti a domicilio, nonostante fossero positivi. Il 21 dicembre di due anni fa, riferisce il quotidiano, l'assicurazione aveva respinto la richiesta di indennizzo evidenziando che "il Covid-19 non è un infortunio ma è una malattia", arrivando anche a contestare che il medico avesse contratto l'infezione sul luogo di lavoro.

Per il tribunale di Vercelli invece "è dimostrato" come il medico "stesse svolgendo effettivamente e in concreto la propria attività professionale in un contesto di rischio elevato fino al momento del contagio, assistendo privati e soggetti ricoverati nelle Rsa". Inoltre ha stabilito che la morte da Covid è per il medico un infortunio sul lavoro in virtù del decreto legge 17 del marzo 2020, relativo alle misure di potenziamento del Ssn varate per fronteggiare l'emergenza epidemiologica. "A seguito dell'introduzione di tale norma - scrivono i giudici - l'infezione da Coronavirus avvenuta in occasione di lavoro è quindi considerata infortunio a tutti gli effetti e non malattia".

(Unioneonline/D)

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