Giallo di Liliana Resinovich: il dna non è del marito, dell’amico o del vicino di casa
Gli inquirenti avevano confrontato il loro dna con quella debole traccia sui sacchi che contenevano il corpo della donna
Il dna trovato sul cordino che stringeva al collo i due sacchetti di nylon nei quali era infilata la testa di Liliana Resinovich – la 63enne di Trieste, scomparsa da casa il 14 dicembre scorso e ritrovata senza vita il 5 gennaio nel vicino boschetto dell’ex ospedale psichiatrico – non è del marito, né dell’amico, né del vicino di casa.
Nessuno dei tre è attualmente indagato ma gli inquirenti hanno chiesto a loro il dna per confrontarlo con il materiale biologico estratto dal reperto.
Secondo la Scientifica non sono stati loro a toccare quel cordino e dunque a uccidere la donna. Si fa strada allora un’altra pista, quella del suicidio.
Il corpo di Liliana Resinovich è stato rinvenuto in due sacchi neri della spazzatura, aperti, uno infilato dalla testa e l’altro dai piedi. Anche se i sacchi erano aperti, le sue condizioni avevano fatto pensare all’omicidio. Ora però le tracce sul cordino riportano sull’altra ipotesi: è stato chiaramente trovato il dna della donna, accanto a quello maschile, molto debole.
Gli inquirenti hanno deciso comunque di confrontarlo con quello del marito, di un amico ed ex maratoneta, e di un vicino di casa che frequentava Liliana e il consorte assieme alla moglie. Ma non è emerso nulla.
(Unioneonline/D)