Si è sempre considerata una donna "intrappolata" nel corpo di un uomo, così si è rivolta al tribunale perché la sua identità fosse riconosciuta.

I giudici di Pavia hanno autorizzato per una 29enne lombarda - che non si è sottoposta al trattamento chirurgico per trasformare il suo aspetto fisico - l'emissione di nuovi documenti e la possibilità di scegliere un altro nome, oltre alla definizione “femmina” di fianco alla voce “sesso”.

Il tribunale ha fatto riferimento al diritto, che deve essere garantito a ciascuno, "sia all’identità personale sia alla salute del transessuale".

La giovane aveva iniziato il suo percorso di transizione sei anni fa, quando aveva cominciato a sottoporsi a terapie ormonali in vista dell'intervento chirurgico per il cambio di sesso.

Era stata però costretta a rinunciare al trattamento chirurgico per trasformare il suo aspetto fisico a causa della sua obesità e degli elevati rischi a cui sarebbe andata incontro affrontando l'operazione.

Oggi il riconoscimento ufficiale del suo essere donna.

La diversa attribuzione di genere "può avvenire anche in assenza di intervento medico-chirurgico, quando la persona abbia già provveduto ad adeguare, con apposite cure ormonali, il fenotipo al 'sesso mentale' e abbia così raggiunto stabilità e benessere psico-fisici", scrivono i giudici di Pavia.

Nella sentenza si sottolinea come la 29enne "ha avvertito da sempre il disturbo dell'identità di genere" e la corte ha riconosciuto come "l'intrapreso articolato percorso psicologico e la connessa terapia ormonale e farmacologica hanno portato alla consapevole, profonda ed irreversibile scelta di genere, determinando piena identificazione dell'istante nel sesso opposto, cioè quello femminile, al quale, da sempre, sente di appartenere".

(Unioneonline/F)
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