"Gli dò 30mila euro, perché sia chiaro tra di noi, ad Armando Siri. Ve lo dico...".

Sono le parole pronunciate dall'imprenditore Paolo Arata nell'intercettazione ambientale in cui tira in ballo l'ex sottosegretario alle Infrastrutture, il leghista costretto alle dimissioni dopo essere finito nel registro degli indagati per corruzione nell'inchiesta della Procura di Roma.

Arata parla davanti a suo figlio Francesco e a Manlio Nicastri, figlio di Vito, il re dell'eolico considerato dai pm di Palermo vicino a Cosa Nostra e a Matteo Messina Denaro.

Il filone romano dell'inchiesta ruota intorno ai rapporti tra Arata e Siri, che nei giorni scorsi era presente al tavolo dell'incontro organizzato da Salvini con le parti sociali per discutere la manovra. Ha illustrato il progetto leghista di flat tax in qualità di esperto economico del Carroccio.

In particolare, ruota intorno alla "promessa e/o dazione" di 30mila euro all'allora sottosegretario "per la sua attività di sollecitazione dell'approvazione di norme che avrebbero favorito lo stesso imprenditore.

Secondo chi indaga quello tra i due indagati è uno "stabile accordo", con Siri "costantemente impegnato attraverso la sua azione diretta nel promuovere provvedimenti che contengano norme ad hoc tese a favorire gli interessi economici dell'Arata, ampliando a suo favore gli incentivi per l'energia elettrica da fonte rinnovabile a cui non ha diritto".

I Nicastri intanto - Vito e Manlio - hanno iniziato a collaborare con gli inquirenti, che li hanno interrogati diverse ore ottenendo ulteriori elementi utili alle indagini, cristallizzati nell'incidente probatorio.

"Stando alle intercettazioni - attacca Carmelo Miceli, dem che fa parte della commissione Antimafia - Siri avrebbe preso 30mila euro da Arata. Se fosse confermato stavolta dovrebbe dimettersi Salvini, che solo una settimana fa fregandosene delle indagini in corso ha portato Siri al Viminale all'incontro con le parti sociali".

(Unioneonline/L)
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