Li hanno beccati senza colpo ferire. Il blitz del Noe, nucleo operativo ecologico dei Carabinieri, quello del tre ottobre scorso, era pianificato nei minimi dettagli. Quando gli uomini dell’Arma hanno fatto irruzione a Serra Scirieddus, tra Gonnesa e Barega, nel promontorio a nord di Carbonia, sapevano quello che cercavano. Al responsabile di turno hanno subito chiesto di raggiungere i pozzi-spia, quelli che, per comprenderci, sono il vero termometro della salute della discarica. In pratica si tratta di tubi che dalla superficie raggiungono verticalmente lo strato finale della discarica, quello sotto il telo, o guaina finale, di protezione. In pratica il cuore di quei cumuli di veleni, quelli che negli anni la Riverso, la società della famiglia napoletana dei Colucci, ha fatto arrivare qui da ogni dove, dalla Campania alla Sicilia, dal Lazio alla Lombardia. Un vero e proprio collettore di amianto e dintorni, tutti veleni spediti, contro ogni disposizione, nella terra già duramente provata da inquinamento e abusi, quella del Sulcis. Se da quei tubi escono sostanze diverse dall’acqua dovrebbe scattare l’allarme.

Rischio disastro

Vuol dire che la discarica «perde», che il telo posizionato alla base della discarica si è letteralmente «bucato». Le conseguenze sarebbero un disastro ambientale senza precedenti. In pratica se quei tubi, attraverso delle pompe di aspirazione, prelevassero sostanze inquinanti a quel livello di profondità significherebbe che quei veleni sono in circolo, direttamente nel sistema carsico della zona, ovvero nelle falde acquifere, sempre molto copiose e diffuse in tutto il territorio del Sulcis. Verificare quei pozzi spia e il funzionamento delle pompe di profondità era, dunque, fondamentale per capire se sotto la discarica era successo o meno qualcosa di grave.

Pompe bloccate

In molti hanno pensato ad un normale controllo, ma non sarebbe stato così. Gli uomini del Noe non avevano alcuna voglia di scherzare. L’approccio all’azione ispettiva si capisce quando dichiarano di voler verificare il funzionamento delle pompe posizionate sotto il telo di sicurezza. Il risultato è disastroso: guarda caso tutte e tre sono in blocco, non funzionano. Tutto questo nonostante i verbali interni di gestione della discarica avessero registrato un solerte tutto a posto. I verbali avevano cristallizzato una situazione opposta alla realtà: i pozzi sono asciutti, avevano registrato i responsabili della Riverso. In quella missione dei Noe si capisce subito che qualcosa sta andando storto, molto storto, per la gestione della discarica. Il riserbo degli inquirenti è totale, si può solo percepire quello che stanno facendo in quella collina di veleni. Il resto è cronaca dettagliata, quella che emerge dal provvedimento appena emesso dalla Provincia del Sud Sardegna con il quale si “diffida la società Riverso all’esercizio dell’attività di discarica”. Una mazzata vera e proprio con lo stop di fatto al via vai di veleni che in questi giorni si stava registrando più copioso del solito, quasi che ci fosse un sentore di quanto stava per accadere.

Sottosuolo ai raggi X

La disposizione della Provincia, firmata dalla dirigente del settore Ambiente Anna Maria Congiu, impone alla Riverso l’obbligo di presentare, entro e non oltre 30 giorni, un quadro esatto sul piano impiantistico e gestionale di cosa realmente sta accadendo nel sottosuolo della discarica. Solo allora si deciderà se revocare definitivamente l’autorizzazione ad operare, con tutto quelle che ne consegue, a partire dalla messa in sicurezza dell’intera area. La diffida della provincia, però, svela i retroscena del blitz dei Noe che hanno scritto certamente all’ente intermedio e altrettanto sicuramente alla Procura competente per gli eventuali reati penali, a partire dal rischio di disastro ambientale, già consumato o prospettico.

La sentenza del Noe

Il verbale del Noe è virgolettato, come una sentenza senza appello: «Le pompe installate all’interno dei tre pozzi spia sottotelo erano in blocco». Il grave deve ancora avvenire. I carabinieri lo scrivono esplicitamente: «Dalle operazioni di rimozione e reinserimento delle stesse all’interno dei pozzi finalizzate al loro corretto funzionamento, si è appurato che tali apparecchiature erano ancorate ad altezza superiore al fondo pozzo». In pratica quelle pompe non potevano aspirare niente perché, anziché essere spinte verso il fondo, sotto il livello del sottotelo, erano state sospese nel vuoto.

Sospese nel vuoto

Quello che scoprono a quel punto gli uomini del Noe è un fatto di una gravità inaudita: «Al riguardo, deve essere tenuto in debita considerazione il fatto che le pompe, con annesso sistema di trasporto dei liquidi sono state rimosse e riposizionate all’interno dei fori adibiti a pozzi da personale Riverso spa su richiesta della polizia Giudiziaria operante e che, in tali fasi, non sono state incontrate né rappresentate ostruzioni nel percorso verso il fondo pozzo. Ciò a significare che la precedente altezza non poteva essere frutto di situazioni casuali derivanti da potenziale erronea valutazione delle altezze connessa a interferenze esterne al foro, ma, al contrario, espressione della volontà del gestore». In pratica, scrivono i carabinieri, era il gestore che aveva, volutamente, bloccato le pompe prima che arrivassero al fondo con il risultato che non si sarebbe potuto in alcun modo riscontrare se la discarica “perdesse” veleni nelle falde idriche. Un’azione che metteva a rischio la salute pubblica dell’intero territorio visto che far percolare i veleni da sotto la discarica senza intervenire significava in qualche modo attentare alle falde idriche della zona con tutte le conseguenze del caso.

La prova del misfatto

A quel punto gli uomini del Noe decidono di misurare la distanza dal blocco delle pompe all’interno del pozzo al livello del sottotelo. Scrivono i carabinieri: «Il personale operante ha infatti accertato che la pompa al servizio del pozzo sottotelo n. 1 era ancorata a 1 m circa dal fondo pozzo, mentre quelle installate nei pozzi sottotelo n. 2 e n. 3 erano ancorate a 2.80 circa dal fondo pozzo». In pratica posizionate a quasi tre metri dal livello del sottotelo, rendendo quindi impossibile verificare qualsiasi tipo di inquinamento. A quel punto viene ordinato di far scendere le pompe sino in fondo, in particolar modo sul pozzo del sottotelo n.3 , quello più a valle della discarica.

C’è inquinamento

L’esito è la conferma che gli i nquirenti cercavano: da sotto il telo di protezione esce di tutto e lo scrivono: « È stata verificata la presenza di liquido di colore grigio scuro, denso e maleodorante nel pozzo sottotelo n. 3. Conseguentemente questa P.G. ha prelevato un campione del liquido, poi depositato nella stessa giornata al dipartimento ARPAS Sulcis di Portoscuso per le analisi chimico fisiche volte a misurare i parametri di inquinamento».

L’inganno

Sono i verbali delle forze dell’ordine a riscontrare la gravità della situazione, constatando che i moduli di verifica dell’inquinamento sotterraneo, compilati dal gestore, risultavano del tutto diversi dalla realtà dei fatti: «La condizione di inidoneità dello specifico presidio di protezione ambientale, rilevata della suddetta circostanza, è apparsa incongruente con quella di assoluta normalità, invece, registrata dal Gestore nel documento denominato “modulo verifica pozzi monitoraggio sottotelo mod. 14” e consegnato dal Capo Impianto all’atto della redazione del verbale di accertamenti urgenti compiuti presso i pozzi spia sottotelo». In pratica dichiaravano che era tutto a posto quando, invece, quelle misurazioni non erano mai state fatte.

Inquinamento accertato

L’inquinamento delle acque sotterranee dal 27 ottobre scorso è una certezza: «Dalla lettura dei rapporti di prova entrambi datati 27.10.2022 sono emersi diversi superamenti delle CSC per la matrice acque sotterranee del D. Lgs. n. 152/06». Già che ci sono, i carabinieri danno un’occhiata alla superficie della discarica. Anche in questo caso l’esito è disarmante: «È stato riscontrato inoltre la mancata esecuzione da parte del Gestore della prevista copertura giornaliera dei rifiuti contenenti amianto, in violazione della prescrizione contenuta nell’AIA, rilasciata alla Riverso Spa». Da oggi per la discarica inizia il conto alla rovescia: la Provincia del Sud Sardegna nella diffida appena emessa chiede alla Riverso un piano di emergenza e urgenza per verificare l’entità del disastro e come intervenire nella rete di captazione delle acque di sottodreno della discarica. Il piano dovrà essere, poi, valutato ed eventualmente approvato. Partita tutta in salita, visti i precedenti. Infine, i carabinieri del Noe potrebbero aver già trasmesso gli atti alla Procura, sotto la discarica si rischia un disastro ambientale senza precedenti.

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