Quando Ferruccio Caschili, classe 1939, si presenta al numero tre di via dei Passeri, nel quartiere di Monte Mixi a Cagliari, ha le idee chiare e cento euro in tasca. Il notaio che lo accoglie registra data e orari, status e intenzioni, tutto da vergare su carta bollata, con tanto di timbri e ceralacca. È il 31 luglio del 2015. Le lancette notarili sono ferme alle dodici e dieci minuti. Il repertorio è il 2692, l’oggetto dell’operazione è criptato dietro l’atto costitutivo di una srl, società a responsabilità limitata, semplificata e per giunta “unipersonale”.

Avenue Macchiareddu

Il nome prescelto per la compagine affaristica, senza una lira in tasca, è tutto un programma: "Nuova Materie Prime Mediterranee s.r.l.s. con socio unico". La sede è una “avenue” nel quartiere industriale di Assemini, Macchiareddu, lato defilato della quinta strada, laddove gli affari precedenti non sono mai iniziati, falliti prima di produrre il primo frigorifero. L’oggetto sociale, quello che racconta sogni e desideri dell’impresa appena nata, è un’enciclopedia del tutto fare. Il disegno d’affari & rifiuti sembra precostituito, come un puzzle che si deve comporre senza che nessuno se ne accorga. Il notaio annota i progetti e li verga su carta di Stato.

Di tutto e di più

Le categorie operative registrate sono sconfinate: «esercizio di attività estrattive in genere, anche in zone umide con l'utilizzo di idonei macchinari ed attrezzature, commercializzazione di prodotti inerti per l'industria, con più specifico riferimento al solfato di calcio, scavo e coltivazione di cave e miniere, lavorazione del materiale a cielo aperto e non, a ciclo totale e/o parziale, compresi i sottoprodotti e le scorie sia di giacimenti in concessione o sublocazione proprio o di terzi e comunque per titoli costitutivi e/o amministrativi negoziabili che ne giustifichino la legittimazione e/o l'esercizio».

Solfato & tossico-nocivi

La mappa dei mestieri societari è variegata, quasi dettata su commissione, come se solo qualcuno conoscesse la vera missione imprenditoriale di una società tanto misteriosa, quanto determinata. In pochi, in realtà, forse nemmeno il pensionato che costituisce la società, hanno idea di cosa sia il solfato di calcio, le scorie e i sottoprodotti da riciclare in zone umide. Per cautela, come via d’uscita, qualora gli affari del riciclo andassero a ramengo il notaio annota nell’atto costitutivo anche la seconda fascia d’interesse della neonata società: «attività di gestione e sfruttamento di cave da destinare anche a discariche controllate, rimozione, raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, fanghi, liquidi, anche industriali, pericolosi, tossici e nocivi e quant'altro ammesso e concesso». Il capoverso finale svela più di tutti quello che non si può dire, come quei “codicilli” scritti con l’asterisco finale nei contratti da leggere con la lente d’ingrandimento: «Partecipare ad appalti e concorsi, firmare convenzioni e contratti per l'attivazione e gestione di cave e per la raccolta, trattamento e smaltimento di qualunque tipo di rifiuto».

100 euro in tasca

L’ambizione è smisurata, ma si infrange quando c’è da versare il capitale sociale della società contraddistinta dall’antico moto “faccio tutto io, ma non ho i soldi”. Il verbale costitutivo è una confessione senza appello:«Il signor Ferruccio Caschili ha versato all'organo amministrativo, che ne rilascia ampia e liberatoria quietanza, la somma di euro 100,00 (cento virgola zero zero) a mezzo di contanti». Non proprio un tesoro, semmai un’elemosina circospetta e risibile.La scalata al mondo dei rifiuti inizia così: un pensionato, deceduto lo scorso anno, e 100 euro, capitale interamente versato, in contanti, per una società nata con le idee chiare e i tempi stretti. Che l’operazione fosse stata pianificata nei minimi dettagli era evidente solo ai ben informati, esperti di mimetizzazione affaristico-societaria, a partire dai più circospetti accorgimenti di una società rigorosamente «limitata», «semplificata» e «unipersonale» sino all’anonimo socio unico con cento euro in tasca.

Dieci giorni per l’Enalotto

In realtà, quella che doveva essere una semplicissima società dalle mille ambizioni e poche speranze, ben presto si sarebbe trasformata in un’operazione con molti zeri, come se di punto in bianco il fortunato pensionato avesse giocato all’Enalotto, puntando 100 euro per guadagnare, poco dopo, milioni su milioni. Da quel venerdì 31 luglio del 2015, giorno della costituzione dell’anonima società “povera in canna” e “tutto fare”, passano appena dieci giorni. Dalla povertà alla ricchezza sfrenata il passo è breve: il tanto di arrivare da Macchiareddu, capannone dismesso, chiuso da sempre, gigante come due campi di calcio alti 15 metri, alla zona industriale di Portovesme, l’alcova primordiale delle multinazionali, prima di Stato e poi svizzere. Dieci giorni di passione per passare dal buio di una società da quattro soldi a “veicolo” finanziario destinato a traghettare, dal Sulcis verso le porte industriali di Cagliari, una colonna marciante di rifiuti e denari.

Lo aspettano gli svizzeri

Quando il pensionato di “Nuova Materia Prime Mediterranee”, la società da cento euro, varca il portone della Portovesme srl non sa che ad attenderlo ci sono i manager sardi della Glencore, la multinazionale che nel mondo, solo nel 2022, ha fatturato la bellezza di 256 miliardi di dollari. Non ci sono molti convenevoli da consumare, il contratto tra il colosso miliardario con sede a due passi da Zurigo e la società semplice e limitata della sponda di Santa Gilla è già bello che scritto. La data è impressa nel primo capoverso:«contratto V.15.014 del 10 agosto 2015» . Se la matematica del calendario non è un’opinione, dalla costituzione della società alla stipula di questo mega-affidamento di rifiuti da trasformare in ricchi premi e cotillons sono trascorsi dieci giorni. La sostanza è sintetizzabile: la società con socio unico, con cento euro di capitale, appena dieci giorni dopo la sua costituzione, sottoscrive un contratto da mille e una notte. In pratica il colosso svizzero affida ad una società sconosciuta il compito di “svuotare” lo stabilimento di Portovesme da quello che, comunemente e semplicisticamente, loro, i venditori svizzeri, chiamano “gesso” . In realtà, quelli della Portovesme srl, sanno perfettamente che quel materiale nient’altro è che un “rifiuto speciale pericoloso”.

Il dono dei rifiuti

Il contratto “regala”, per un euro a tonnellata, al pensionato di Macchiareddu una montagna di questo materiale. In pratica 52 mila tonnellate sono il primo “pacco”, rinnovabile, da portar via dal sito di Portovesme. La multinazionale, per quei rifiuti, è abile nel farsi pagare poco e “donare” molto. Da una parte incassa dal pensionato un euro a tonnellata di “gesso”, il quale, però, in cambio, riceve a sua volta, dalla stessa multinazionale, la bellezza di 26 euro per ogni tonnellata di rifiuti da portar via. Un pagamento giustificato come «Contributo al trasporto ed alla gestione di quei rifiuti». Un bell’affare per la multinazionale: anziché spendere 290 euro a tonnellata per conferire quel materiale in discarica, secondo gli inquirenti, lo affidano, chiavi in mano, al pensionato che incassa con la sua società, tra acquisto e contributo della Portovesme srl, la bellezza di 25 euro a tonnellata. In sostanza, con una società da 100 euro di capitale, appena dieci giorni dopo la sua costituzione, l’impresa del pensionato riceve dalla multinazionale un contratto per un “traffico” di rifiuti, secondo quanto scrivono gli inquirenti, che gli frutterà non meno di tre o quattro milioni di euro.

Risparmio discarica

Un innato senso degli affari si potrebbe dire, peccato, però, che quel materiale dovrà essere “nascosto” in tutta fretta dentro quel capannone di Macchiareddu. Tutto nell’ipotetica attesa che qualcuno lo compri e lo porti via per farne chissà cosa. Un qualcuno che, ovviamente, non arriverà mai. Nessuno, infatti, vorrà avere niente a che fare con quei rifiuti. Resteranno lì a marcire, quasi a far scoppiare quel gigantesco capannone, riempito in ogni ordine di posti, ormai prossimo al cedimento, trasformato in una vera e propria discarica. Nel frattempo, però, la compagine societaria si era arricchita di nuovi protagonisti.

Sindacalista & manager

Il 14 gennaio del 2016, dopo la firma del contratto con la Portovesme srl - Glencore, con atto notarile 2218, subentra nell’operazione “massa bianca” anche Giampaolo Diana, non uno sconosciuto. Gli inquirenti, nella chiusura indagini, lo definiscono, fino al marzo 2015, «consulente intermediario della società Portovesme srl», e poi socio al 20% della società del pensionato. Ma non è tutto: Diana è stato anche il numero uno della Cgil sarda e capogruppo del Pd in Consiglio Regionale. Con lui, messo sotto inchiesta dalla Procura cagliaritana, Pubblici Ministeri Rita Cariello e Rossella Spano, c’è anche Carlo Lolliri, l’ex “potentissimo” amministratore delegato della Portovesme srl, l’uomo della Glencore in Italia. Insieme a loro, tra gli indagati, c’è il nuovo manager “svizzero”, Davide Garofalo, il front-man del “Piano Black Mass”, la massa nera dei rifiuti di batterie, quelli che vorrebbero riciclare proprio nello stabilimento del Sulcis. E per finire tra gli indagati c’è la “Portovesme srl”, figlia della multimiliardaria multinazionale svizzera accusata di “regalare” rifiuti milionari ad una società con dieci giorni di vita e cento euro di capitale, fallita al momento giusto, quando il “gioco” è stato scoperto. Tutto nella povera e devastata terra del Sulcis, dove le multinazionali “consumano” affari, inquinano e licenziano sempre .

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