Siccità, il mistero della diga di Maccheronis
Viaggio nell’invaso della Baronia, tra opere mai collaudate e colture distrutte dal blocco idrico per le colture arboreePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
La terra è arsa. I frutteti sono un cimitero di legna verticale, senza speranza. Le radici di un patrimonio arboreo imponente stanno per arrendersi. Dalla valle di Torpè a Posada, passando per Siniscola e Budoni, la resa sembra imminente. Le foglie rattrappite delle distese di frutteti si spezzano al passare di ogni vento che si affaccia su questa terra ancora segnata da un’alluvione violenta impressa nella memoria. Sono passati undici anni da quella furia d’acqua senza argini. Una devastazione che ha ucciso e segnato, senza un perché. Quell’alveo del rio Posada ora è una pista di pietre levigate e spiagge di ghiaia. Quel rigagnolo che scorre a valle della diga più maledetta dell’Isola, l’invaso vallivo di Maccheronis, si è fermato molto prima dell’ultimo ponte che taglia dall’alto quel corso d’acqua.
Urlano siccità
Qui, quasi tutti, gridano alla siccità, da mesi. Si potrebbe dire che mancano solo le preghiere salvifiche e la danza della pioggia, per il resto nemmeno un intervento concreto appare all’orizzonte. La “moda” dell’emergenza idrica formato Baronia ora racconta dell’annunciato “miracolo” dei dissalatori, la nuova vecchia e vetusta frontiera dell’acqua di mare trasformata in “minerale”, teoricamente potabile, con la quale esercitarsi in gargarismi di fresca bontà.
Abbanoa & Acciona
A gestire la partita sono sempre gli stessi, da una parte Abbanoa, teoricamente la società in house della Regione, e dall’altra gli spagnoli di Acciona, i “matadores” dell’acqua pubblica dei sardi. La società idrica ha pure pubblicato un bando esplorativo, gli esiti, però, sono ancora blindati nel Palazzo dell’acqua. Si parla dell’affitto di un dissalatore, costo superiore al milione di euro. Di certo con costi esorbitanti nella gestione, senza alcuna certezza del risultato, visto che forse se ne parlerà alla vigilia di Ferragosto. Nel frattempo, nei villaggi turistici, già stracolmi di stranieri, si continua a ricevere tutta l’acqua che serve, quella della diga di Maccheronis, proprio quella che in molti descrivono come una pozzanghera ormai giunta all’ultimo gorgoglio.
Il video dell’ingegnere
Tutto questo sino a quando nei messaggi delle chat della Baronia non irrompe il video-denuncia dell’Ingegnere. Lui, Gianfranco Dalu, classe 1957, per tutti qui è sempre stato il “signore dell’acqua”. L’uomo da sempre in trincea, dal Govossai ad Abbanoa, con la trafila della governance idrica, segnata dai ruoli apicali in qualsiasi incarico gli sia stato affidato, dalla gestione diretta della sicurezza del sistema degli invasi del Consorzio del Govossai, sino al ruolo di vertice nel governo di potabilizzatori e depuratori dell’Isola. Burbero, schietto, introverso con i nemici, affabile con chi lo rispetta. L’appuntamento è a Talavà, frazione di Torpè, a ridosso della diga di Maccheronis. Lui, qui, ci vive. Respira l’affanno della terra, tocca con mano il dolore di chi sta perdendo in un attimo i sacrifici di una vita. È in pensione, da qualche anno.
Il richiamo della siccità
Il richiamo della siccità che avanza , però, lo ha costretto a riaccendere il computer, a ragionare sulle carte, sulle connessioni possibili, da quelle tra i potabilizzatori del nord dell’Isola, alle condotte per mettere a sistema i bacini delle acque grezze. Ha ragionato, per emergenza e per passione, sino a quando non ha deciso di inerpicarsi sui tornanti verso la diga, quella che da sempre alimenta il distretto 5, quello della Baronia.
I dubbi e lo spettro
Non aveva motivo di dubitare su quell’informazione che correva ovunque: la diga è vuota, una pozzanghera da cinque milioni di metri cubi di acqua e fango. Quando arriva all’altezza dello sbarramento è pomeriggio inoltrato. A lui, però, su quel proscenio, non gli compare nemmeno in lontananza la diga sfiancata da fango e acqua torbida.
Niente “occhiometro”
È esperto, ma è consapevole che la risorsa idrica invasata in una diga non si misura ad “occhiometro”. Lui, però, sa cosa e dove traguardare, giusto per avere una prima risposta alle sue domande, a quei dubbi che sconquassano le certezze “irrorate” a piene mani in questi mesi. Lo sguardo è rivolto verso lo sbarramento, a quel “coronamento” che sovrasta il livello più alto dell’acqua invasata.
Errore o peggio
È lì che si capisce se la diga è vuota, semivuota o semipiena. Quella voce che correva da una parte all’altra del paese come “giustificazione” per chiudere l’acqua agli agricoltori, prima di tutto a quelli con colture arboree, frutteti e uliveti, ai suoi occhi ora sembra essere solo uno spettro, figlio di un errore, se non peggio. In un attimo ha dovuto rispolverare diagrammi, curve di invaso, interrogarsi su quanto stava accadendo in quella diga con una capacità potenziale di 25 milioni di metri cubi d’acqua, dove, invece, i “verdetti” ufficiali registravano appena 5 milioni di metri cubi d’acqua disponibili. Ci ritorna due o tre volte, l’ingegnere. Ogni volta con accompagnatore tecnico diverso. Il dato non cambia.
L’ultimo rilievo
Ieri mattina, 36 gradi all’ombra, il cammino verso quella riva d’acqua sul ciglio dell’invaso è la resa dei conti, l’ultimo riscontro tra lo spettro del disastro e i dati reali d’invaso. Davanti a telecamere e droni, la misurazione di livelli d’invaso è affidata a Gps, tecnici e misuratori di precisione in grado di registrare informaticamente quote e coordinate. Ogni metro sulla riva una “battuta” georeferenziata. Lo strumento registra, incamera dati per rielaborare la curva finale, quella che pubblichiamo in questa pagina.
15 milioni di metri cubi
Prova certificata con tanto di diagramma finale, affiancato dall’ultimo studio sull’invaso, redatto dalla Regione sotto l’egida dell’Università di Cagliari, Dipartimento di Idraulica. I riscontri sono quelli elaborati per la sicurezza della diga: nell’invaso di Maccheronis, alla quota 38 metri sul livello del mare, quella riscontrata ieri, corrispondono quindici milioni di metri cubi invasati, il triplo rispetto ai cinque dichiarati ufficialmente. Il rilievo è fin troppo chiaro: il livello di massimo invaso in diga è segnato da quota di 45,6 metri sul livello del mare. Quando l’acqua raggiunge quel punto vuol dire che sono invasati 24,9 milioni di metri cubi. Il livello attuale, quello dove l’acqua arriva sullo sbarramento, ha una quota certificata di 38,190 metri. Il “delta”, il divario tra il massimo livello e quello attuale, è di 7,41 metri. L’uomo dell’acqua lo scrive, lo detta, lo ripete: «nel lago di Maccheronis c'è acqua tre volte oltre quella che i dati ufficiali al 20 luglio 2024 indicano in 5 milioni di metri cubi invasati».
Business siccità?
Gianfranco Dalu, l’ingegnere che ora qui tutti intravedono come una speranza, non vuole accusare nessuno: «Qualsiasi sia la ragione di questo “errore”, deve essere immediatamente posto rimedio. Serve fare un puntuale piano di gestione della risorsa realmente disponibile. Esiste l’acqua per salvare non solo il turismo, ma anche animali e colture arboree. Serve solo fare in fretta». Non dice di più, mantiene la consegna del profilo propositivo, ma è chiaro che in quella borsa fitta di documenti ci sono dossier che scottano. C’è quel potabilizzatore realizzato dopo 17 anni di ritardi, e mai messo in funzione, dissalatori costosissimi per il pubblico e inutili per l’emergenza che vorrebbero mettere in esercizio in 15 giorni, c’è un’emergenza idrica che in realtà qui, in Baronia, è diventata ordinaria. Sembra che la siccità convenga, quasi un business.