La Regione Sardegna ribadisce il suo "no" categorico, definitivo e irrevocabile ad ogni ipotesi di utilizzo del territorio sardo per il deposito di rifiuti nucleari, dopo che Sogin ha trasmesso al ministero della Transizione Ecologica la proposta di Carta nazionale delle aree idonee.

"Intendiamo ribadire in ogni sede – dice il presidente Christian Solinas – la nostra ferma opposizione non solo al progetto originario, che prevedeva 14 siti di stoccaggio in Sardegna, ma anche ad ogni forma di rimodulazione della mappa che includa la nostra Isola. E lo faremo in modo sempre più forte, con ogni mezzo democratico, anche in questa fase della procedura, che, dopo il seminario nazionale svoltosi nei mesi scorsi, prevede ora una nuova fase di confronto pubblico”.

Il governatore ricorda che, “per sostenere anche in ambito tecnico scientifico le ragioni della posizione della Sardegna” è stato istituito “un Comitato tecnico scientifico che ha trasmesso, già un anno fa, le proprie argomentazioni. E' evidente l'inopportunità di una simile scelta, che oltre a rappresentare un pericolo per l'immagine della nostra Isola, si scontrerebbe con quanto stabilito per legge e per effetto di un referendum popolare”.

Lo Stato dunque “deve rispettare la volontà espressa dalla Sardegna a livello popolare e istituzionale. Nel 2011, in occasione del referendum, oltre il 97% del popolo sardo votò contro la localizzazione delle scorie sull'Isola. Anche il Consiglio Regionale, in diverse fasi, si è pronunciato in modo nettamente contrario”.

La Sardegna, ricorda il presidente Solinas, “ospita più della metà delle servitù militari presenti in Italia, circa il 65%, a danno della valorizzazione del territorio isolano. In base ai Trattati costitutivi dell'Unione Europea, i territori insulari andrebbero supportati ed aiutati, in quanto oggettivamente svantaggiati rispetto agli altri sotto alcuni aspetti. È anche per questo che l'eventuale collocazione del Deposito sull'Isola apparirebbe come l'ennesimo e irragionevole sacrificio imposto al territorio, che già sopporta un carico superiore a quello di qualsiasi altra regione d'Italia”.

E' evidente “l'irragionevolezza di una eventuale decisione. I rischi, in caso di incidente, sarebbero enormemente accresciuti dalla impossibilità per la popolazione di essere efficacemente e rapidamente evacuata dalle zone interessate. L'ulteriore aspetto da considerare riguarda la peculiare caratteristica del sistema idrico sardo. Per ragioni legate alla lotta alla siccità, il sistema è fortemente integrato. Conseguentemente, un eventuale evento incidentale potrebbe rapidamente compromettere l'intera riserva idrica regionale”.

Anche per quel che riguarda “il rischio e la pericolosità geomorfologica idraulica di qualsiasi grado e le fasce fluviali, sulla base dei dati aggiornati, i rischi di frana sono ben più diffusi di quelli valutati da Sogin. Tutte le API sono intensamente interessate dal reticolo idrografico minore dove si concentrano frequenti dissesti; per quel che riguarda i livelli piezometrici affioranti, quasi tutte le API hanno falde freatiche superficiali e interessano acquiferi ad elevata vulnerabilità. Nessuna area tra quelle individuate è inoltre in grado di garantire le esigenze di isolamento da infrastrutture antropiche e da attività umane. Tutte le aree presentano inoltre un rischio archeologico alto o addirittura altissimo, molte di esse impattano su aree gravate da usi civici e su infrastrutture critiche rilevanti o strategiche”.

“La nostra ferma e motivata opposizione è dunque irrevocabile – conclude – e la riproporremo in ogni sede, pronti a far sì che la Regione promuova una forte mobilitazione popolare che coinvolga l'intera società sarda”.

(Unioneonline/D)

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