La garante dei detenuti Testa a Bancali: «Ho visto tanto degrado e disperazione»
Un quadro che va oltre la denuncia, che sfiora l’incredulità, e che solo le immagini potrebbero restituire con la forza della veritàPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Un carcere al limite della sopportazione umana. Celle sovraffollate, condizioni igieniche precarie, detenuti costretti a costruirsi mobili di fortuna con il cartone.
È questa la realtà che la garante regionale dei detenuti, Irene Testa, ha trovato di fronte a sé durante la visita nel penitenziario di Bancali, a Sassari. Un quadro che va oltre la denuncia, che sfiora l’incredulità, e che solo le immagini potrebbero restituire con la forza della verità.
«Solo una telecamera potrebbe davvero rendere l’idea di quello che ho visto», racconta Testa, che ha visitato il carcere insieme alla garante comunale Anna Cherchi. Ma il suo dovere istituzionale impone di provare a tradurre in parole ciò che appare inaccettabile. «In una sezione con 16 celle ci sono 55 detenuti, stipati in quattro per cella. I soffitti sono umidi, le pareti scrostate, gli arredi ridotti al minimo per far spazio ai letti. Mancano stipetti dove riporre gli oggetti personali, chi può si ingegna con pezzi di cartone. In alcune celle non ci sono termosifoni, nei bagni mancano le porte, costringendo i detenuti a subire odori e umiliazioni».
Il degrado strutturale è però solo una parte del problema. Bancali è anche un luogo di sofferenza mentale. «Urla continue, detenuti psichiatrici che parlano da soli, che gridano o gettano acqua e detersivo nei corridoi», racconta Testa. Un’emergenza nell’emergenza, che riguarda soprattutto i detenuti stranieri, spesso senza vestiti adeguati, senza scarpe, in condizioni di totale abbandono.
E poi c’è la storia che più di tutte simboleggia il dramma di quel luogo: quella di un ragazzo di vent’anni che non mangia dal 14 febbraio. Ha perso oltre 15 chili, la sua condizione fisica e mentale è preoccupante. «È monitorato costantemente», precisa la garante, «ma non intende alimentarsi». Un gesto estremo, che pesa come una condanna sulla coscienza di chi dovrebbe garantire diritti e dignità anche dietro le sbarre.