«Oltre al femminicidio, qui si somma una storia di droga, che chiaramente non sminuisce il reato, per cui stiano tranquilli quelli che hanno paura che ci sarà uno sconto di pena. Non è questo il problema: intanto chi non ha mai letto il Codice penale dovrebbe avere la prudenza di non esprimere giudizi affrettati. Qui si aggiunge un dubbio molto più ampio che è dettato dal problema del consumo di droghe». Con queste parole, don Gaetano Galia, sacerdote salesiano e psicopedagogista, cappellano del carcere di Bancali, a Sassari, interviene sul caso dell’omicidio di Cinzia Pinna, la 33enne di Castelsardo uccisa ad Arzachena dall’imprenditore reo confesso, Emanuele Ragnedda.

Una riflessione di chi opera sul campo, legata al fenomeno della dipendenza da droghe e sugli strumenti di prevenzione. «Le ricerche ci dicono che i ragazzi iniziano a drogarsi per gestire le frustrazioni, per divertirsi, per fronteggiare un dolore, per la noia, per trasgredire, per prolungare le prestazioni lavorative, ricreative e sessuali», dice il sacerdote. «Allora dovremmo ragionare in termini preventivi: cosa proporre ai nostri giovani per aiutarli a gestire queste situazioni della vita in maniera naturale, senza l’ausilio di sostanze che apparentemente, sedano le difficoltà, ma le ripresentano in maniera tale e quale a prima, col problema in più del reperimento dei soldi per la droga, con i problemi che vedo in carcere con i reati di spaccio: furti, violenze, estorsioni, ricatti o prostituzioni, tutti reati collegati con la droga», sottolinea don Galia.

Video di Andrea Busia 

«Forse ci dobbiamo chiedere cosa stiamo sbagliando, che valori stiamo proponendo, quali mancanze abbiamo da genitori e educatori. Tutte domande che vengono provocate da certe situazioni drammatiche che viviamo. Beato chi ha le soluzioni e vedo sui social sono tutti bravi a condannare e giudicare, senza analizzare le cause. Cercare le cause è un segno di competenza e professionalità», osserva, «non la rabbia istintiva che non produce soluzioni. Forse anche i genitori di Ragnedda, persone per bene, erano rigidi nel giudicare gli altri. Ma chi ha figli non dovrebbe avere l’arroganza di condannare, sarebbe meglio tacere, perché a tutti noi, nonostante la buona educazione che tentiamo di dare ai nostri ragazzi, potrebbe capitare una simile tragedia».

Parole che si uniscono al pensiero sull’importanza della vita umana di don Pietro Denicu, parrocco della cattedrale di Sant’Antonio Abate di Castelsardo, promotore della fiaccolata che, ieri, ha attraversato le vie della città, per ricordare Cinzia e per dire no alla violenza.

«La morte di una giovane è l’evento più tragico e doloroso che la vita umana può conoscere, che la giovane sia una figlia, una sorella, un’amica, ma che questa morte sia stata violenta, moltiplica questo dolore nella intensità e nel tempo. Non è sufficiente questo a far capire a tutti quanto è grande, immensa e insostituibile nella intensità e nel tempo la vita di una persona. Davanti alla folla di gente che si schiaccia a vicenda, noi rispondiamo che non vogliamo restare indifferenti, vogliamo svegliarci e vivere, moltiplicare la bellezza e la grandezza della vita che oggi non c’è più, una vita splendida e insostituibile come quella di ciascuno. Oggi non possiamo continuare a camminare nella indifferenza e non possiamo permettere che l’indifferenza cancelli Cinzia e con lei tutte le atre vittime, mai più». 

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